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Il cosiddetto "turismo della memoria" suscita da sempre pareri contrastanti. Da una parte coloro che pensano che visitare luoghi segnati da grandi guerre e grandi tragedie del passato sia un esercizio doveroso di conservazione del patrimonio storico mondiale. Dall'altra coloro che, pur potendo condividere le ragioni culturali e storiche, pensano che questo tipo di turismo rischia di sfociare in quello che il New York Times ha definito "turismo del terrore".
Comunque la si pensi, oggi Unimondo (una testata giornalistica online che offre un'informazione qualificata sui temi della pace, dello sviluppo umano sostenibile, dei diritti umani e dell'ambiente) pubblica a riguardo un'interessantissima analisi, firmata da Lorenzo Piccoli e intitolata "Il turismo della memoria, un modo per superare i conflitti".
Long Kesh è una località della contea di Antrim in Irlanda del Nord. Si tratta di un luogo ameno, conosciuto per la produzione di whiskey e per un vecchio campo di aviazione della RAF trasformato in prigione nel 1976. Inizialmente il governo britannico intendeva utilizzare la struttura per ospitare i detenuti e gli internati senza processo durante i Troubles in Irlanda del Nord; poi l’offensiva dell’IRA si intensificò e nel 1976 venne inaugurato il nuovo carcere di Maze, costituito da 8 edifici a un piano di cemento armato a forma di H che divennero noti in tutto il mondo nel 1981 quando vi si svolse uno sciopero della fame dei detenuti repubblicani durante il quale morirono 10 detenuti, tra cui Bobby Sands. Il 29 settembre 2000 la prigione di Maze chiuse e venne avviato un processo di demolizione, mai completato.
Adesso il governo nordirlandese ha deciso di riqualificare l’edificio e l’area circostante commissionando la costruzione di un “Centro per la Pace e la Risoluzione dei Conflitti” all’architetto David Libeskind, famoso per aver curato il progetto di riqualificazione dell’area di Ground Zero a New York e aver progettato il Museo Ebraico di Dublino, fra le altre cose. La decisione di aprire Maze a visitatori e turisti ha provocato un acceso dibattito e non tutti sono d’accordo nel trasformare un luogo dal valori simbolico così forte e così divisivo in una sorta di museo a cielo aperto. Il New York Times situa la discussione in quello che viene definito il “turismo del terrore”, ovvero quel fenomeno che “a partire dal Good Friday agreement del 1998 sta portando migliaia di visitatori sui luoghi delle peggiori atrocità della guerra nordirlandese”.
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