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Mi considero un fortunato, uno di quelli che secondo Luca Ricolfi rientrerebbero nella ‘società signorile di massa’, dunque un pensionato attivo, in discreta salute e con buona propensione alle spese per viaggi. Così avevo immaginato il mio pensionamento un paio di anni fa: una lunga sequela di viaggi di corto e medio raggio, di vacanze stanziali, facendo un accurato slalom tra le varie proposte di collaborazione che ancora mi sarebbero arrivate (e mi arrivano). Sì, una pensione se non dorata almeno luccicosa, di cui a parlare nel periodo drammatico che stiamo vivendo quasi mi vergogno.

Era cominciata bene questa nuova fase della mia vita. Nel 2018 tre operazioni e una lunga fase di recupero non avevano spento la mia voglia di viaggiare. Meglio è andato l’anno successivo, in cui tra vacanze e viaggetti ero riuscito a mantenere il ritmo di una volta al mese.

Ho i miei capisaldi, non riesco a rinunciare a una settimana a Parigi ogni anno, ai soggiorni in Bretagna e in Alto Adige, all’Isola d’Elba, alla scoperta di angoli del Bel Paese dove non sono ancora stato e che in passato non mi era proprio capitato di visitare: il Salento, L’Aquila, Perugia, Asiago. Mai in aereo, perché forse avevo volato troppo quando ero in attività, e oggi farei contento Jonathan Safran Foer che in Possiamo salvare il mondo prima di cena sostiene che per salvare il pianeta occorre smettere con gli allevamenti intensivi e con il consumo di carne, ma anche con i viaggi in aereo, vivere senza auto e non fare figli. Vivere senza auto proprio non ci riesco: è lo strumento principe del mio viaggiare. L’auto ti consente di scoprire ciò che ancora non sai e di trovarti a fare deviazioni improvvise rispetto alla tua meta finale. Questo è l’insegnamento del grande scrittore W.G. Sebald, di cui Vertigini rappresenta forse l’apoteosi del viaggio culturale.

Come si può capire sono appassionato di letterature (e di alcuni scrittori). Abbino sempre un libro al posto in cui mi trovo. Una mania, un vezzo, una forzatura? Forse. Così leggo Stefan Zweig in Austria (Il mondo di ieri) e vado sui suoi luoghi a Salisburgo: “Un tempo l’uomo non era che anima e corpo. Oggi, se vuole essere trattato da essere umano, gli serve anche un passaporto”. Imperversava il nazismo e lui puntualizzava sullo strumento indispensabile per viaggiare. Leggo Vincenzo Consolo mentre mi trovo in Sicilia, Il sorriso dell’ignoto marinaio, e vado al Museo Mandralisca di Cefalù ad ammirare quel “…sorriso ironico, pungente e nello stesso tempo amaro, di uno che sa molto e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà”.

E in Portogallo ho in mano Viaggio in Portogallo di Josè Saramago perché “la felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare probabilmente è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo”. Mentre mi trovo nella Foresta Nera, è difficile non fare un salto a Calw, città natale di Hermann Hesse leggendo il suo fondamentale Il viandante: “Viaggiare dovrebbe sempre significare vivere una esperienza, e si può avere un’esperienza preziosa soltanto in luoghi, in ambienti con i quali ci troviamo in un rapporto spirituale”. Potrei continuare, nei Magredi mi sono perso seguendo la gioventù di Pier Paolo Pasolini, San Vito al Tagliamento, San Giovanni con la chiesetta di San Floreano, Vivaro, Codroipo, Valvasone, il Friuli di Un paese di temporali e di primule.

Il fatto più eclatante mi è accaduto lo scorso anno. Mi avevano consigliato la lettura di Julio Llamazares, La pioggia gialla, emozionante viaggio nel tramonto della civiltà contadina, me lo ero portato in Spagna. La Catalogna, Barcellona, poi Lleida, Saragozza, Huesca e infine la salita verso il Portalet d’Aneu. E il villaggio vicino a Biescas dove lo scrittore ambienta la vicenda era proprio lì, abbandonato da tutti tranne che da un vecchio, unico abitante che chiude definitivamente gli occhi “…non trovo che questo dolore fumoso nel petto, nei polmoni, e se alzo lo sguardo non vedo che il chiarore sfocato della finestra e il disco giallo della luna”.

L’ho presa un po’ alla larga. Torno al punto di partenza. Viaggiare è far girare l’economia, su questo non ci piove. Oggi tutto è fermo. Il futuro che si prospetta di questi tempi è come una lavagna nera per scrivere sulla quale non abbiamo i mezzi, ci mancano i gessetti. Chissà se, e quando, e come, potremo ricominciare a scrivervi. Possiamo intanto riallineare i ricordi e fare delle ipotesi con la nostra fantasia. Però c’è fretta, il tempo incalza (il mio), poi la vecchiaia sarà sempre più stringente.
Ancora Saramago ci insegna che il viaggio non finisce mai, perché la fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Nei posti bisogna tornare, vedere quel che si è già visto, di giorno quel che si è visto di notte, d’inverno quel che si è visto d’estate, con il sole ciò che si è visto con la pioggia. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.

 

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