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Hotel, ristoranti e aziende dell’abbigliamento: secondo i dati dell’Osservatorio Confesercenti sono questi i comparti che nel 2013 hanno patito di più. 50.000 le imprese che hanno chiuso, e a fine anno potrebbero essere persi 90.000 posti di lavoro
Quali sono le punte di diamante dell’economia italiana? Con il declino della grande industria, la risposta sembrerebbe facile: la moda, la cucina, il turismo. Eppure sono proprio questi i settori più in crisi, a guardare i dati diffusi in questi giorni dall’Osservatorio Confesercenti, dati che si riferiscono ai primi 8 mesi del 2013 e che parlano di un vero e proprio tracollo che ha colpito le imprese del tessile, del ricettivo e della ristorazione.
Sono state 50.000 le imprese che nei primi due terzi dell’anno hanno cessato la propria attività, con un saldo negativo di quasi 20.000 unità. Se il trend dovesse confermarsi anche nell’ultima parte dell’anno, secondo l’Osservatorio di Confesercenti il segno meno ammonterebbe a 30.000 imprese e a 90.000 posti di lavoro.
Per quanto riguarda la ristorazione collettiva (quello cioè che comprende i servizi di banqueting e catering legati a produzione e distribuzione di pasti pronti per la clientela), per esempio, da gennaio ad agosto si sono registrate 112 attività in meno. Nello stesso periodo si sono chiuse anche 2035 attività commerciali legate al servizio di bar sul territorio nazionale: se si sono registrate 5806 iscrizioni, infatti, si sono contate anche 7841 cessazioni. Tra i ristoranti, sono state 8492 le imprese che hanno abbassato la saracinesca, a fronte di 5909 iscrizioni: il saldo negativo in questo caso è di 2583.
Nel settore della ristorazione è la Campania la regione che paga il prezzo maggiore della crisi: qui infatti c’è il triste primato del saldo negativo tra chiusure e aperture, che tocca quota 289 imprese. Ma è Roma a essere anche la capitale delle chiusure: da gennaio ad agosto sono spariti per sempre dal tessuto economico dell’Urbe 223 ristoranti, record di saldo negativo fra tutte le città italiane con 300 iscrizioni e ben 523 cessazioni rilevate: quasi due chiusure al giorno. Sommate al saldo negativo di 194 imprese di servizio bar ci consegnano il record di ben 417 imprese polverizzate fino ad oggi.
Tra le strutture ricettive e alberghiere, la differenza tra aperture e chiusure è di - 371 strutture, un saldo negativo risultante dal confronto tra le 830 iscrizioni e le 1201 cessazioni registrate da gennaio ad agosto. In questo caso, la regione che ha sofferto di più è l’Emilia Romagna, con un saldo negativo di 58 imprese, seguita dalla Campania (-51) e al terzo posto da un ex aequo che restituisce bene l’immagini di una crisi senza confini: sia la Sicilia che il Trentino Alto Adige, infatti, hanno perso 43 imprese del settore ricettivo.
Se il turismo si lecca le ferite e fa il conto dei danni, non va meglio per un altro comparto dell’economia nostrana teoricamente di punta: la moda. Nei primi otto mesi del 2013 si sono contate 3400 nuove attività nel comparto abbigliamento e tessile, ma anche 8162 chiusure, per un saldo negativo di 4762 unità: in pratica una chiusura su quattro nell'ambito del commercio al dettaglio riguarda l’abbigliamento.
In un panorama così desolante, consola in parte la crescita di un settore in forte espansione: i negozi online. In base alle rilevazioni dell’Osservatorio Confesercenti, infatti, le imprese di commercio al dettaglio che vendono attraverso internet sono aumentate, negli ultimi 20 mesi, del 24,5%, passando da 9180 a 11.430, con crescite più sostenute nel Sud e nel Centro. Un segnale che l’intera economia italiana dovrebbe analizzare e comprendere per un rilancio generale del Paese.
Carolina Mailander
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