Città turistiche troppo affollate, ma non abbastanza per le statistiche di Euromonitor: ma vale la pena puntare sul turismo un tanto al chilo? La classifica infatti dice un’altra cosa: l’Italia rappresenta il Paese europeo con il maggior numero di città in graduatoria. Partiamo da qui. Il delicato compito che attende l’industria turistica italiana
Ogni anno la stessa storia: il turismo in Italia cresce, le grandi città d’arte soffrono per i troppi arrivi eppure le classifiche sulle località più visitate al mondo ci vedono lontani dal vertice. La replica 2017 di questo teatro dell’assurdo è in programma in questi giorni al World Travel Market di Londra: da una parte ENIT e MiBACT hanno presentato una ricerca Ipsos che dimostra la crescita sostenuta dei flussi turistici verso il nostro Paese, dall’altra la classifica di Euromonitor attesta che le città italiane non sono nella top 10 delle mete più visitate al mondo. Roma al dodicesimo posto, Milano al ventisettesimo, Venezia al trentottesimo e Firenze al quarantaquattresimo. Ma con l’eccezione parziale di Milano, non si può certo dire che le nostre grandi città d’arte patiscano la scarsità di turismo, anzi proprio il contrario: in pratica, sembra di vivere in un paradosso.
E allora che fare? La tendenza italica ad aspettare che le cose si risolvano da sé non sembra stia portando frutti, ultimamente. L’unica via appare quindi affrontare seriamente i problemi, cercando soluzioni sostenibili e a lungo termine, e non rattoppi vari.
LE QUESTIONI DA AFFRONTARE
Ci interessa veramente ingolfare ulteriormente città d’arte con altra quantità di persone, magari del tipo “mordi e fuggi”? Per esempio: vogliamo davvero che Roma passi dai 9,4 milioni di visitatori 2017 agli oltre 20 milioni di Bangkok e Hong Kong, o anche “solo” ai 19 milioni di Londra, terza al mondo e prima città europea? Se la risposta è sì, sicuramente non è possibile farlo aumentando più di tanto i visitatori al Colosseo, o alla Fontana di Trevi o negli altri punti ad altissima concentrazione turistica. Bisognerebbe quindi lavorare per attirare i viaggiatori verso quartieri, musei, poli di interesse vario (ristoranti, alberghi, mostre) meno congestionati. Obiettivo veramente arduo allo stato attuale.
Quindi andiamo al punto. A nostro parere, pur senza escludere (anzi) idee e progetti per un turismo “alternativo” alle rotte troppo affollate delle città più note, il grosso del lavoro che l’industria turistica deve fare non va nella direzione di “spremere la bellezza fino all’esaurimento, come una delle tante fonti non rinnovabili del pianeta e con tutte le tragiche conseguenze già riscontrabili in altri ambiti” per citare le parole di Stefano Di Polito e Paola Tournour Viron sul magazine di Treccani.
La strada è già tracciata e lo dice la stessa ricerca, il policentrismo da sempre grande risorsa del più “bel Paese” del mondo. “Nonostante nessuna città italiana si classifichi nella top ten e Roma riceva meno della metà del numero di arrivi internazionali registrati da Londra, l’Italia rappresenta il paese europeo con il maggior numero di città in classifica, tutte in crescita rispetto allo scorso anno. La somma degli arrivi internazionali nelle quattro città italiane ammonta a 26 milioni, superando il numero di turisti stranieri che hanno visitato le città in classifica di qualsiasi altro paese europeo”.
E allora quali sono le questioni fondamentali da affrontare per l’Italia turistica? Secondo noi, sono tre:
- Aumentare la spesa media (e magari anche la permanenza) dei turisti, facendo così aumentare i guadagni da investire nel miglioramento dell’offerta.
- Allungare la stagionalità di alcune offerte leisure (mare, outdoor, montagna estiva) prolungandole di almeno tre mesi all’anno
- Migliorare la promozione dei vari sistemi territoriali italiani indirizzando i turisti verso destinazioni poco conosciute, valorizzando la bellezza diffusa del nostro Paese.
Sul terzo punto, il lavoro del MiBACT guidato da Franceschini sta facendo un ottimo lavoro. Il ministro ha già annunciato che, dopo cammini e borghi, il 2018 sarà l’anno dell’enogastronomia e il 2019 l’anno del turismo lento. Più volte abbiamo dato i giusti meriti al dicastero e ai suoi dirigenti, e continueremo a farlo. E il fatto che l’Italia sia l’unico Paese europeo ad annoverare quattro città nella top 100 è la conferma della nostra identità di bellezza diffusa.
Sul primo e secondo punto, invece, il lavoro da fare è più complesso per tutti: per il MiBACT che deve sempre barcamenarsi con i limiti del famoso Titolo V; per gli enti locali che non sempre dispongono di risorse umane ed economiche per dare uno sviluppo organico al comparto; per gli operatori a vario livello che devono sempre trovare l’equilibrio migliore nel rapporto qualità/prezzo per non perdere i turisti. Persino per i giornalisti, che non hanno già il titolo pronto come “L’Italia perde posizioni nelle classifiche mondiali”.
CONCLUSIONI
Per far vincere la sfida del “quali-poli-centrismo VS chilo-quanti-turismo” esiste poi un fattore decisivo. Qualche tempo fa abbiamo già scritto che, secondo noi, la soluzione non può che passare dal coinvolgimento dei cittadini, dei residenti, di coloro che vivono ogni giorno in luoghi sognati e desiderati dai viaggiatori.
Ribadiamo il concetto, specificando che non si tratta “solo” di informare la cittadinanza per farli sentire parte di qualcosa, ma di farli partecipare davvero in ogni fase: dalle direzioni da prendere con i progetti di Comuni e Regioni alla formazione per i soggetti professionali coinvolti, dall’ascolto dei problemi nella vita quotidiana alla collaborazione con i privati che contribuiscono ai flussi extra alberghieri.
È un compito difficile quello che ci attende? Indubbiamente sì, ma di sicuro meno che triplicare i visitatori del Colosseo.