Come finiscono i Giochi è un reportage multimediale, online da febbraio 2016, che racconta a dieci anni di distanza l’eredità materiale e immateriale dei XX Giochi Olimpici di Torino. Un sito web legato a vari social network (Facebook, Twitter, Instagram, Youtube), dove ogni giorno sono stati caricati contenuti e materiali seguendo due direzioni: da un lato la ricostruzione della memoria olimpica, i ricordi di chi ha vissuto la manifestazione; dall’altro l’eredità materiale, un dibattito ancora attuale sull’impatto degli eventi internazionali.
Amarcord - Il web è un produttore quasi illimitato di contenuti, a volte serve solo un dj che ne faccia un mix. Partendo da questa constatazione, abbiamo deciso di chiedere direttamente ai nostri utenti di mandarci le loro fotografie (tenendo sempre presente che nel 2006 in Italia non c’erano ancora gli smartphone di massa e Youtube esisteva solo da un anno) e i loro ricordi dell’evento. Le risposte sono state numerose! Abbiamo poi parlato con atleti e protagonisti delle Olimpiadi, come Pietro Piller Cottrer, oro nella staffetta di sci di fondo, e Gabriele Vacis, regista della spettacolare cerimonia di apertura, una serata che verrà ricordata anche per aver visto Luciano Pavarotti esibirsi in pubblico per l’ultima volta, prima della sua scomparsa il 6 settembre 2007, con la celebre romanza tratta dalla Turandot, Nessun Dorma.
Quale eredità per Torino? - Non essendo di Torino ci siamo chieste perché la gente del posto fosse così entusiasta della riuscita dell’evento. Durante il nostro percorso abbiamo constatato che le Olimpiadi sono state in grado di posticipare la crisi economica, di far scoprire la vocazione culturale della città, di trasformarla da città post-industriale a centro promotore di eventi. Una trasformazione però che era già stata pensata: la pianificazione del rilancio di Torino è stata un processo lungo, in cantiere già dall’inizio degli anni ‘90, e di cui le Olimpiadi sono state solo uno dei punti focali. Valentino Castellani e la sua squadra hanno compreso che ospitare un evento internazionale avrebbe potuto giovare alla causa della città e sono riusciti nell’obiettivo. Proprio questo, a nostro modo di vedere, è stato il motivo per cui l’evento può essere definito, dopo dieci anni, un successo.
Le luci sì, ma anche le ombre - Spesso, quando si parla delle Olimpiadi di Torino, la lista di ciò che non ha funzionato si riduce esclusivamente a un paio di piste inutilizzate nelle zone montane (il bob a Cesana e i trampolini a Pragelato). Ci si dimentica della pista di biathlon di Cesana Pariol, inutilizzata da anni e frutto di un errore di pianificazione, e che il turismo, in quelle zone, non sia mai aumentato. La situazione disastrosa del Villaggio Olimpico a Torino, poi, basterebbe da sola a spiegare che il problema non si limita alle zone montane.
Così come c’è da fare luce sulla poco trasparente gestione dell’Agenzia Torino 2006, una fondazione che aveva lo scopo di trovare finanziamenti pubblici e privati per costruire le strutture olimpiche. A suo tempo l’Agenzia lavorò talmente bene da far avanzare un tesoretto di circa cento milioni di euro, ma ad oggi, nonostante la legge promossa dal senatore Stefano Esposito, che permette di utilizzare quel danaro per politiche urbanistiche legate alla città di Torino, la chiusura dell’agenzia è stata ancora rimandata sebbene non abbia più motivo di esistere.
Eventi internazionali sì o no? - Un grande evento internazionale, soprattutto se sportivo, è in grado di creare unione, entusiasmo, emozioni irripetibili che ci auguriamo di aver saputo restituire attraverso il nostro lavoro. Abbiamo voluto mettere in evidenza le ombre senza mai dimenticare che le Olimpiadi di Torino sono state un successo e un trampolino di rilancio per la città. Ci teniamo a ribadire che se le cose hanno funzionato, però, è stato perché esisteva un piano di rilancio precedente alla candidatura. In una delle interviste pubblicate su www.comefinisconoigiochi.it, Paolo Bellino (direttore generale di Rcs Sport che ha lavorato sia nel comitato organizzatore che al post olimpico) afferma: “Gli eventi sono un acceleratore di grandi trasformazioni urbanistiche, però non aspettano, ti costringono a costruire tutto entro una certa data. Così si finisce sempre per costruire impianti per quindici giorni su una durata di trent’anni, invece di costruire degli impianti che servono per trent’anni allestendoli per quindici giorni: tutte le energie sono per l’evento che è un passaggio minimale di quelle infrastrutture”.
Il dubbio sui grandi eventi internazionali dunque resta. Su Torino 2006 non ce ne saranno più.
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Marialuisa Greco - Twitter @GrecoMal
Giulia Perona - Twitter @GiuliaPerona
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