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La città ha festeggiato i dieci anni dai Giochi Invernali del 2006. Un lascito di orgoglio, passione, nuova reputazione, ma anche di cose più tangibili come un flusso turistico che pare inarrestabile


A dieci anni dai Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 ci si interroga ancora su quali siano stati i lasciti del grande evento sulla città. Un dibattito che si è fatto vieppiù intenso nei giorni che hanno visto in città la celebrazione di quei giorni. Era stata una lezione di gioia per l’Italia e per il mondo, come ha titolato il fondo di un quotidiano in occasione della chiusura delle sobrie cerimonie che hanno caratterizzato il ricordo dei Giochi, richiamando per le strade di Torino le centinaia di volontari che avevano operato allora. Bisogna partire da lì per capire l’importanza dell’eredità olimpica – quella immateriale ben inteso – per Torino e i torinesi. Nelle settimane che avevano preceduto le Olimpiadi c’era stato come uno scatto nella mentalità della gente, era come se si fosse acceso un interruttore nella loro testa. Era partita la sfida dell’orgoglio, della voglia di dimostrare al mondo di saperci fare a dispetto degli scettici e dei gufi che di lì a poco sarebbero evaporati di fronte al successo dell’evento, alla bellezza della Medal Plaza e delle venue olimpiche, a un’organizzazione impeccabile. Certo, in precedenza c’era stato un lavoro di anni da parte delle istituzioni che prima avevano gettato il cuore oltre l’ostacolo per vincere una candidatura che a molti sembrava impossibile, poi avevano fatto squadra – forse per la prima volta nella storia della città – trovando in quella concordia istituzionale, irrisa da più parti, la carta vincente per far lavorare serenamente i bracci operativi dei Giochi, il Toroc e l’Agenzia Torino 2006. Un esempio per il Paese, una case history da studiare in tutto il mondo. Un totale di 23.000 persone coinvolte. E hanno fatto bene i due giornalisti torinesi, Loris Gherra e Luca Rolandi, a ricordare i nomi di tutti nel volume Quelli che costruirono i Giochi (Effedi) pubblicato proprio in occasione del decennale. Alla luce di quella esperienza, alcuni degli operativi si sono creati una professionalità specifica, un patrimonio torinese (questa sì, un’eredità tangibile) che si è disseminato nel mondo, andando a lavorare nell’organizzazione di successive Olimpiadi o comunque di grandi eventi.
Al netto di alcune criticità – trampolini per il salto a Pragelato, pista di bob a Cesana, l’ex Moi e parte del villaggio olimpico – tutti gli impianti costruiti o rimodernati per Torino 2006 hanno trovato un loro utilizzo, in alcuni casi già previsto fin dalla fase di progettazione. Per gli impianti alpini le responsabilità andrebbero ripartite tra le istituzioni pubbliche e le federazioni sportive, tutte alle prese con bilanci sempre più magri. Per il villaggio olimpico del Moi, che da subito aveva in parte sopperito all’emergenza casa della città, una soluzione sembra essere alle porte.
Il lascito più importante che i Giochi Olimpici hanno dato a Torino va però ricercato altrove. “C’è stato un salto di qualità nell’attrattività internazionale della città, i cui risultati si vedono ancora oggi” sostiene Sergio Chiamparino, oggi presidente della Regione ma allora sindaco di Torino 2006. In effetti nel decennio post-olimpico le due amministrazioni che si sono succedute hanno continuato a investire in eventi, mostre e manifestazioni sportive per mantenere e migliorare un posizionamento non immaginabile prima della XX Olimpiade Invernale. In effetti tra gli 1,8 miliardi di persone di fronte alla tv per seguire la cerimonia di apertura dei Giochi quel 10 febbraio 2006 erano in molti a chiedersi dove fosse Torino. Ora tutti lo sanno. Non è un successo da poco.

 

riccardo caldara 180x226Riccardo Caldara

Twitter @riccardocaldara

 

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