Meglio una minestra oggi o mille minestre domani? Messa giù così, è difficile schierarsi dalla parte dell’oggi, anche se un vecchio adagio insegna che l’uovo odierno è da preferire alla gallina futura. Ma se fossimo certi che l’attesa, il sacrificio temporaneo, generasse un adeguato (e meritato) ritorno economico, sarebbe da ingenui, e forse da sprovveduti, rinnegare un investimento prediligendo un risultato immediato ma di scarsa durata.
Eppure è qui, tra l’oggi e il domani, che si decide del nostro futuro, tra la consapevolezza che c’è bisogno di agire subito e la convinzione che è arrivato il momento di affrontare ciò che è stato troppo a lungo rimandato: un piano strategico improntato al futuro e non all’eterno presente di emergenza.
La metafora della minestra ce la suggerisce il Buongiorno di Gramellini del 26 aprile (“La minestra e il Filadelfia”). Il vicedirettore de La Stampa, nella sua rubrica quotidiana in prima pagina, dà spazio alla domanda di una lettrice, che in merito alla recente approvazione del “piano di rinascita” dello Stadio Filadelfia chiede a Gramellini: “Non trova indecente che, con tanti torinesi senza un piatto di minestra, la città tiri fuori dei soldi per un altro stadio?”.
Al di là della risposta sul caso specifico (“una parte dei fondi che il Comune investirà nella ricostruzione non sono della città, ma del Filadelfia e furono versati da un supermercato per poter edificare in zona”), quello che è più interessante è la questione di fondo posta da Gramellini: “Ma se non vogliamo ridurci a un immenso centro di assistenza sociale, bisognerà pensare anche a creare lavoro. E in un mondo globale la sola chance di sopravvivenza che ci resta è investire nel nostro petrolio: natura, storia, memoria, cultura. Lei non ha idea di quanti piatti di minestra potrebbero riempire i mille Filadelfia d’Italia”.
Al di là dell’affetto che lega il granata Gramellini (e il sottoscritto) al tempio del Grande Torino, infatti, il punto fondamentale di ogni discorso sugli investimenti che l’Italia dovrebbe fare nel marketing territoriale sta proprio nella necessità di non usare più come “pretesto”, e a volte come scusa bella e buona, la difficile situazione della nostra economia per rimandare o negare ogni investimento sul futuro. Soprattutto perché, per definizione, un investimento è proprio l’azione di accettare una spesa, un sacrificio, nell’immediato per ottenere un vantaggio superiore nel futuro.
Quello che chiedono gli operatori del turismo e del marketing territoriale italiano, infatti, non è una prebenda, un’elemosina utile a sopravvivere ancora per un po’. Al contrario, ciò che viene da più parti invocato è una strategia di sviluppo in grado di moltiplicare le minestre rimaste nel sempre più vuoto pentolone dell’Italia.
Bruno Caprioli - Mailander