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La falange oplitica.
Ecco, se vi era venuta voglia di leggere questo articolo incuriositi dal titolo, adesso, probabilmente sono riuscita a farvela passare (ispirandovi anche quell’italianissimo gesto della mano che si muove su e giù all’altezza del basso ventre a rappresentare una “certa noia”).

Ok, lo so, prenderla così indietro, partire dagli antichi Greci, non sembra divertente, ma se mi seguite un attimo giuro di arrivare rapidamente al punto.
Con le variabili del caso, da polis a polis, i Greci sfilavano in guerra tutti vicini, muovendosi all’unisono e compatti, con gli scudi uniti a formare un unico grande scudo e le lance pronte a colpire i nemici da ogni angolazione.

Senza dilungarci sulla grandezza della Civiltà Greca (classica ed ellenistica), in questo contesto ci basti sapere che alla base della maggior parte dei loro indiscutibili successi militari vi fu un’idea semplice: è più facile sconfiggere un uomo che sconfiggerne dieci o cento. La falange oplitica, appunto. Una di quelle formule che impari alle elementari e che non dimentichi più, come vassalli valvassini e valvassori e rosa rosae rosae.

Metafora banale, mi direte. Ma mai troppo, credo.

Immaginate cosa sarebbe successo se nel bel mezzo di un attacco, il soldato ‘tal dei tali’ invece di rimanere unito al suo gruppo si fosse girato verso il tipo accanto a lui per rimproverarlo di non aver marciato abbastanza bene. O magari se il primo della fila invece di dare il tempo avesse incrociato le braccia perché convinto che “tanto noi Greci non sappiamo rispettare le regole”. O se all’improvviso uno nel bel mezzo della terza fila avesse deciso di scappare e gli altri, invece di far andare avanti la falange, si fossero messi a rincorrerlo.

Fa un po’ ridere immaginata così: uomini che rotolano uno sull’altro e inciampano sui propri piedi mentre i nemici si guardano tra loro quasi delusi dal fatto che la battaglia sia così facile da vincere.

Ridicolo, no?

Adesso arriva il momento in cui dovrei dire ciò che ho di più saggio da dire, che non è molto tra l’altro; ma io credo che questa metafora parli da sé. E parla tanto più forte perché in questo periodo, in questa battaglia, noi fisicamente vicini non ci possiamo stare.

Il nemico è un virus microscopico, invisibile, capace di contagiare tutto e tutti in una manciata di secondi e l’unica soluzione è restare distanti, lontani, senza toccarci. Eppure siamo qui, abbiamo tutti lo stesso nemico di fronte e dobbiamo tutti marciare all’unisono per vincere.

Non è il momento di urlarsi contro a vicenda, di scontrarsi, di attribuire colpe, di cercare capri espiatori da sacrificare al dio del narcisismo più velleitario. Proprio adesso, proprio nel momento in cui ci viene chiesto di chiuderci in casa e restare lontani l’una dall’altro, dobbiamo essere più vicini che mai. Dobbiamo restare uniti, pur stando distanti, dobbiamo marciare allo stesso ritmo, anche se il virus si muove più veloce in certe zone rispetto ad altre. Dobbiamo guardare insieme allo stesso obiettivo, senza cercare pagliuzze negli occhi dei nostri vicini, senza rimproverare all’ultimo della fila di non aver tenuto il passo o al primo di non aver contato abbastanza forte per marciare. Ciascuno deve fare il suo, ciascuno secondo le proprie possibilità, ciascuno secondo i propri limiti. Finché gli scudi si ergeranno uniti potremo difenderci.

Chiusi nella solitudine delle nostre case, delle nostre postazioni di lavoro, nei nostri letti di ospedale non possiamo limitarci a fare da guardia al nostro orto, perché se difendiamo solo quello il nemico troverà un’altra via di ingresso. Dobbiamo difendere ogni orto perché nessuno venga toccato. Neanche il nostro.

Abbiamo una responsabilità, un compito solo, uguale per tutti: restare uniti mantenendo le distanze. Non è una gara, non vincerà il più furbo o il più forte. Vinceremo tutti se nessuno verrà lasciato indietro. Vinceremo tutti se manterremo il ritmo insieme, aiutandoci l’un l’altro, ciascuno secondo le proprie competenze.

La falange oplitica.
Un’idea semplice, aspettando tempi migliori in cui abbassare gli scudi e ripartire, ancora una volta, insieme.

 

 

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