Dodici Stati membri nel 2018 hanno raggiunto il target fissato per il 2020: un bel risultato in cui ci siamo anche noi
Siamo stati bravi, ma possiamo fare ancora meglio. E questo “noi” si intende tanto per la nostra anima di cittadini italiani, quanto per quella di cittadini europei.
Secondo i dati diffusi da Eurostat, la quota di energia proveniente da fonti rinnovabili nei Paesi membri dell’Unione Europea nel 2018 ha raggiunto il 18% del consumo finale lordo di energia. La quota è in crescita rispetto al 2017 (17,5%) ed è più che doppia rispetto al 2004 (8,5%), anno a partire dal quale abbiamo dati disponibili.
Le fonti di energia rinnovabile prese in considerazione nell’indagine sono l’energia solare termica e fotovoltaica, le energie idrauliche, l’eolico, la geotermia, le biomasse sotto tutte le forme (compresi i rifiuti biologici e i biocarburanti liquidi) e le pompe di calore.
È indubbiamente un ulteriore piccolo passo verso il raggiungimento degli obiettivi per il clima e l’energia 2020, che imponeva tre “20%” da raggiungere per tutti gli Stati Membri: il taglio del 20% delle emissioni inquinanti rispetto ai livelli del 1990, un miglioramento dell’efficienza energetica del 20% e, appunto, un consumo di energia da fonti rinnovabili pari al 20% del totale.
In generale, stando ai dati rilevati, la quota di fonti rinnovabili sul consumo totale di energia rispetto al 2017 è aumentata in ventuno Stati membri, è rimasta stabile in uno ed è diminuita in sei. In ogni caso, dal 2004 il dato è cresciuto significativamente per tutti.
La (bella) notizia è che tra i ventotto Stati membri dell’Unione, nel 2018 ben dodici hanno già raggiunto una quota pari o superiore al proprio obiettivo nazionale per il 2020: Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Svezia e, con nostra grande gioia, Italia. In più, quattro Stati ci sono molto vicini (cioè sono a meno di 1 punto percentuale di distanza) e ad altri nove manca relativamente poco (tra 1 e 4 punti).
A tirare giù la media c’è ovviamente qualche maglia nera e pesano molto, purtroppo, i 6,6 punti di distanza dell’Olanda e i 6,4 della Francia, i Paesi attualmente più distanti dal proprio target.
Va detto che gli obiettivi nazionali tenevano e tengono conto dei differenti punti di partenza, del potenziale locale di energia rinnovabile e delle singole performance economiche: questo significa che l’Unione Europea chiedeva e chiede a tutti impegno e buona volontà, ma non certo risultati impossibili. Andiamo così dal target del 49% per la Svezia (ampiamente superato dal 2015 e giunto al 54,6% nel 2018, con una percentuale di partenza nel 2004 pari a 38,7%) a quello del 10% per Malta (arrivata, per ora, all’8% e partita da un umile 0,1 nel 2004), con in mezzo tutti gli altri, ponderati in base alla situazione specifica.
E l’Italia? Con il 17,8% di quota di energie rinnovabili registrato per il 2018, abbiamo superato dello 0,8% il nostro obiettivo per il 2020. Siamo sicuramente cresciuti rispetto al 6,3% del 2004, ma è una crescita piuttosto contenuta se guardiamo al 17,5-17,4% del biennio 2015/16 e soprattutto una decrescita rispetto al 18,3% registrato nel 2017. È un indubbio segno di “affaticamento” che, per altro, complica la partita che si dovrà giocare per i nuovi obiettivi per il 2030 (la quota di energia rinnovabile deve salire al 32%), ma non dobbiamo perderci d’animo.
L’attenzione nei confronti dell’ambiente e dei cambiamenti climatici in corso è alta, in Italia e fuori. Ormai l’opinione pubblica è stata sensibilizzata e, tra chi ne parla per sostenere la causa e chi ne parla per sminuire il problema, la questione è inevitabilmente sulla bocca di tutti. Lo dimostra il clamore suscitato dai Fridays For Future di Greta Thunberg dello scorso settembre, che solo nel nostro Paese hanno dato luogo a manifestazioni nelle piazze di oltre 180 città e nel resto del mondo hanno generato 5225 eventi in 156 Stati (Antartide compresa). Ma non solo: l’approccio green ed ecosostenibile è diventato un cavallo di battaglia anche per le aziende private, che cercano di trasformare l’attenzione per l’ambiente in una leva di marketing verso i propri consumatori più sensibili – ma ci sta bene ugualmente: ad un certo punto who cares?, l’importante è il risultato.
Perché il risultato è contrastare il cambiamento climatico e aumentare l’efficienza energetica, nella logica per cui il mondo scientifico chiede con urgenza di limitare ad un aumento massimo di 1,5 gradi centigradi la temperatura globale rispetto all'età pre-industriale. E se non interessa il destino del mondo (anche se c’è da chiedersi: davvero può non interessare?), consideriamo che il raggiungimento degli obiettivi energetici imposti dall’Europa servirà a incrementare la sicurezza energetica dell'Unione riducendo la nostra dipendenza dalle importazioni energetiche e contribuirà a creare posti di lavoro, a stimolare la crescita verde e rendere l'Europa più competitiva nel mercato globale.
Insomma: diamoci da fare, ché conviene in qualunque modo la si pensi.
Teresa Principato
Twitter @teresa_pr