Mi chiamo Davide, ho 31 anni e sono un grafico.
Basterebbe già solo la frase precedente per esprimere una quantità di disagio non indifferente, ma invece no, in questo periodo il disagio è in saldo e ognuno di noi ne sta facendo grandi scorte.
Prendiamo il mio esempio: dopo quasi un anno di disoccupazione tappato in casa, finalmente trovo impiego. Una bellissima cosa, soprattutto in questi tempi difficili per l’occupazione. Ma la vita, si sa, sa essere decisamente simpatica quando vuole: una simpatia che cercherò di riassumere con un breve dialogo:
IO – Finalmente! Dopo tutto questo tempo avrò un’occasione di riscatto! Si torna a lavoro, la ruota ha ripreso finalmente a girare, uscirò da casa e… che c’è?
Vita – Cosa?
IO – No, niente, sembrava mi stessi guardando con aria strana. È tutto ok? C’è qualcosa che devi dirmi?
Vita – No no, non ho niente…
IO – Non hai niente per davvero o non hai niente ma in realtà stai tramando qualcosa?
Vita – …
IO – Parla, per favore…
Vita – PANDEMIAAAAAAAAAAAA (da leggersi con tono e voce del compianto Mike Bongiorno)
IO – Cosa?!
Vita – Pandemia! Sai quando un virus contagia tutto il mondo causando paura e delirio e devastanti crisi economiche? Quella cosa lì.
IO – Ah… E… quindi?
Vita – E quindi torni in casa!
…e quindi rieccomi in casa, stavolta a confrontarmi con lo “smart working”, una simpatica pratica lavorativa che ti permette di fare tutto quello che avresti dovuto fare a lavoro, ma con in più i disagi casalinghi: connessioni lente, pc dell’anteguerra, bambini urlanti, vicini rumorosi e male di vivere appollaiato perennemente sulla spalla stile avvoltoio, il tutto condito da mise che non indossavi dalla primavera del 2003. Detto tra noi, in un ipotetico elenco di torture, piazzerei lo smart working tra l’Aquila di sangue norrena e la Vergine di Norimberga.
Ma torniamo a me, al mio egocentrismo e ai disagi principali che trovo nello stare confinato a casa. Il primo è rappresentato dal lavorare con il mio amatissimo pc, compagno di guerra da tantissimi anni. Nutro per lui una sorta di amore/odio. Vanta una caratteristica inestimabile: riuscire a rendere lenta ogni minima cosa. Anche la più semplice provoca in lui un surriscaldamento tale da far sembrare il disastro di Chernobyl un semplice esperimento del piccolo chimico. La ventola sembra proprio dire “Belin (il mio pc è ligure come me), ma lasciami perdere, ma cosa vuoi da me?”, portando il sottoscritto a provare un mix di odio e sensi di colpa per averlo disturbato.
Il secondo problema è il vicinato. In particolare un vicino, che da un mese a questa parte si è autoproclamato “DJ di quartiere” e ha deciso che tutti i giorni, due volte al giorno – per la precisione alle 18 e alle 21 – è il caso di sparare a tutto volume dal suo balcone un mix di compilation che non seguono nessuna logica umana conosciuta, un saliscendi che parte con i Queen per sprofondare negli abissi del gusto con Dj Francesco, risale con gli AC-DC per poi cadere in picchiata con la Disco Dance anni ‘80 e il reggaeton. Pochi giorni fa si è ricordato di avere in casa anche un microfono, che ora utilizza regolarmente per fare il vocalist con tanto di auguri di compleanno e dediche appassionate. Ho provato a cercare tra i tutorial di Aranzulla una soluzione per risolvere il problema in maniera efficace, ma non ho trovato nulla: questa volta Internet si è dimostrato non all’altezza della situazione.
Il terzo problema sono gli sbalzi d’umore. Ormai vivo costantemente in un’altalena di emozioni che mi portano dall’euforia più alta alla depressione più cupa, senza sfumature in mezzo e senza alcuna logica: una sorta di Dottor Jekyll e Mr. Hyde. Anzi: un momento sono Charlie Bucket de “La fabbrica di cioccolato” quando trova il biglietto d’oro e subito dopo divento la copia (scadente) di Severus Piton prima del grand finale.
Il quarto problema sono i sensi di colpa. Già, i sensi di colpa che mi fanno venire gli altri!
Gente per cui fino a ieri allacciarsi le scarpe era il massimo sforzo contemplato durante la giornata, ora è su Instagram a fare dirette in cui fanno sollevamento pesi con 12 casse d’acqua. Poi ci sono quelli che fanno snorkeling nella vasca da bagno, altri che scalano le pareti del salotto… e i restanti si sono scoperti chef.
Ma state bene?
Passate tutto l’anno a dire quanto vorreste stare a casa a riposarvi e ora vi trasformate in testimonial del “viver sani e belli”? Ma la smettete, per favore, che poi vi guardo, mi faccio suggestionare e vivo male perché inizio a pensare che dovrei fare anche io quello che fate voi, ma poi non ci riesco e me la vivo ancora peggio? Ma cosa vi ho fatto di male?!
Quello che più mi fa impazzire, però, è la demagogia presente in ogni dove. Ogni giorno assistiamo a discorsi su discorsi carichi di nulla, portati avanti solo per cavalcare un’onda che purtroppo non ci aspettavamo e che mai avremmo voluto vedere.
Passo metà delle mie giornate a litigare con la televisione. La fisso, aspetto che l’invitato di turno inizi a parlare e, appena lo fa, ribatto con frasi ad effetto e conclusioni sommarie. In pratica sono a un passo dall’andare a guardare i cantieri.
Sì, sto impazzendo.
Sento di diventare sempre più paranoico ogni giorno che passa. Attualmente sono convinto che la mia ragazza, con cui convivo da un anno e che stoicamente sopporta tutto questo, voglia lasciarmi per scappare con il frullatore.
Ora che ci penso anche la lavastoviglie si comporta in modo strano, ultimamente. Credo sappia qualcosa. Indagherò.
Adesso vi chiederete dove, con questo assurdo delirio, io voglia arrivare. Quale sia la profonda conclusione a cui io voglia giungere. Quale insegnamento Zen voglia passare a voi che avete impegnato il vostro tempo a leggere tutto ciò. Bene, la risposta è… NESSUNO!
Non tirerò fuori nessuna perla di saggezza, nessuna conclusione supportata da dati scientifici o considerazioni filosofiche. Niente di niente!
Era chiaro fin dall’inizio: questo è un puro sfogo di normale follia da quarantena.
Davide Accusani