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Il lockdown è una noia per molti, ma un vero e proprio incubo per le vittime di violenze domestiche. Ricordiamocelo e condividiamo il messaggio: non siete sole

Devo dire che sto vivendo con una certa serenità questo periodo di lockdown.

Il fatto di non poter uscire di casa se non per motivi di estrema (e dimostrabile) necessità mi sembra più che accettabile, visto che serve a proteggere me stessa e gli altri. Non sento il bisogno di evadere e non mi annoio perché le mie giornate sono comunque piene: lo yoga del mattino, il lavoro fatto di riunioni su Google Meet e scadenze da rispettare, la casa da rassettare, la mamma da videochiamare e, a sera, l’abbonamento dei servizi di streaming online on demand da ammortizzare. Non trovo letteralmente il tempo di stare con le mani in mano.

Non per tutti, però, è così “semplice”. E non parlo di chi vive questa chiusura in casa come un attentato alla libertà personale – vorrei però invitare queste persone a un’attenta lettura dell’Art. 16 della Costituzione: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche” – ma per tutte quelle persone per cui le mura domestiche non sono uno spazio sicuro.

Per molti di noi – per fortuna – è un concetto così lontano dalla quotidianità che ci viene difficile anche solo immaginarlo. Per molti di noi, dopo aver litigato col capo, imprecato nel traffico che chissà dove diavolo staranno andando tutti proprio in questo momento, discusso col verduriere che mette sulla bilancia sempre più di quello che gli viene chiesto e inveito contro il vicino che ha di nuovo parcheggiato in maniera creativa, tornare a casa significa lasciare alle spalle i problemi. Per molti di noi, insomma, “casa” è “finalmente casa”. Ma non per tutti.

Da quando siamo in lockdown i centralini dei centri antiviolenza hanno smesso di squillare, proprio come accade solitamente nei weekend o durante i periodi di vacanza. Il Telefono Rosa, il servizio che aiuta tutte le persone che subiscono violenza fisica, psicologica, economica, sessuale, mobbing e stalking, ha dichiarato che nelle prime due settimane di marzo le chiamate di vittime di violenze sono diminuite del 47,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre quelle di vittime di stalking sono crollate del 78,8%. Le violenze si sono ridotte? Bastava una pandemia per vivere improvvisamente tutti felici e contenti? Ovviamente no. Semplicemente, la convivenza forzata con i propri aguzzini rende il chiedere aiuto difficile o addirittura impossibile per migliaia di donne, uomini, anziani e adolescenti in condizioni di fragilità.

Una situazione di stress come quella che stiamo vivendo tutti in questo frangente non fa che accentuare le tensioni già esistenti. Nel caso dei rapporti di coppia violenti, va anche a favorire quell’isolamento che già in condizioni normali è uno dei tratti distintivi delle relazioni tossiche. A questo si aggiunge il fatto che improvvisamente i bambini si trovano ad assistere ancora più frequentemente alle violenze, vista la condivisione prolungata degli spazi domestici.

Il messaggio che gli operatori dei centri e le organizzazioni vogliono mandare in questi giorni è che i loro servizi restano attivi. I centri antiviolenza sono rimasti aperti; si risponde per lo più al telefono o via Skype, mentre i colloqui individuali – con tutti i supporti di protezione del caso – sono stati sospesi o limitati a situazioni di emergenza.

Il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in relazione all’arcinoto ma ancora irrisolto problema della violenza sulle donne, ha lanciato una campagna informativa sui social, “Libera puoi”: l’obiettivo è promuovere il numero 1522, attivo ogni giorno 24 ore su 24, e far conoscere l’app “1522”, disponibile per iOS e Android, che consente alle donne di chattare con le operatrici e chiedere aiuto e informazioni in sicurezza, senza correre il rischio ulteriore di essere ascoltate dai loro aggressori.

Non è molto, certo, ma è già qualcosa. In attesa di potenziare la prevenzione in merito alla violenza sulle donne e in generale alla violenza domestica che non fa differenza di genere, e magari addirittura rivedere l’impianto normativo o gli iter di denuncia che spesso portano le vittime a lasciar perdere prima ancora di iniziare, possiamo far sapere a chi è in difficoltà che non è solo.

E forse pensarci due volte prima di lamentarci di sentirci in prigione, mentre guardiamo l’ennesimo film buttati sul divano, in una casa dove la cosa peggiore che può accaderci è annoiarci.

 

 

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