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Una domanda che molti operatori del turismo si pongono da diverso tempo è: "Perché i governi frenano la crescita di questo settore?".

 

Il dubbio, chiamiamolo così, non è un'esclusiva italiana, dal momento che in tutto il mondo i professionisti del travel si interrogano sul perché le istituzioni di molti Paesi appesantiscano con tasse, balzelli e burocrazia varia lo sviluppo del turismo globale: basti pensare alla Air Passenger Duty britannica, imposta sul traffico aereo tra le più elevate del mondo, o i tagli al management del traffico aereo varati dagli Stati Uniti lo scorso anno. Freni pesanti per un comparto che pure rappresenta circa il 9% del Pil e che fornisce lavoro a un occupato su 11, per un giro d'affari da 1.300 miliardi di dollari all'anno.

Una cifra che in effetti può far gola ai governi, soprattutto dopo anni di crisi economica, ma che potrebbe essere ancora più consistente se i viaggiatori non fossero "ostacolati" da imposte e procedure internazionali. Ne è convinta anche l'organizzazione Skal International, come testimonia un recente comunicato di Karine Coulanges, la presidentessa di questa organizzazione internazionale che raccoglie professionisti della travel industry di tutto il mondo.
"È tempo che i governi valutino attentamente i reali benefici dei flussi turistici internazionali, prima di imporre nuove tasse per provare a rimpinguare i bilanci, perché anche un piccolo aumento delle imposte può generare gravi perdite considerato che, in questo caso, le persone votano con i propri portafogli preferendo destinazioni economicamente più vantaggiose" ha affermato Coulanges. "In questo momento in cui le economie planetarie vedono i primi segnali di ripresa dopo 6 anni di recessione" ha continuato Coulanges "è bene ricordare che il turismo è stato uno dei pochissimi settori che è cresciuto anche in quel periodo, ma che come tutte le industrie continua ad aver bisogno di cura e supporto e non di tassazione aggiuntiva per guadagni a breve termine".
Oltre alle tasse, un altro freno per la crescita del turismo mondiale posto in essere dai governi nazionali è la questione dei visti, con procedure lente e macchinose oltre che economicamente penalizzanti. L'effetto collaterale, infatti, è di allontanare potenziale visitatori, che preferiscono destinazioni alternative con condizioni più vantaggiose. Ma come reagirebbero i governi, si chiedono da Skal International, se i fatturati derivanti dal turismo calassero del 10-20% con disastrosi effetti a catena sulle economie?
Il modello negativo preso come riferimento è la Thailandia, che ha visto un crollo nel settore a causa dei disordini e delle tensioni nel Paese, che hanno provocato un calo di un milione di visitatori nel solo mese di gennario 2014, con una perdita calcolata di 690 milioni di dollari. "Quante nazioni sarebbero in grado di assorbire tali perdite?" si chiedono da Skal, che invita i vertici della politica mondiale a "ricordare che i turisti votano con il proprio portafogli", soprattutto quando viaggiano.

 

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