Sempre più musei costringono i turisti a visite con tempi da velocisti, come le due ore per la Galleria Borghese. Ma da Torino arriva un’idea per trasformare la corsa nei luoghi dell’arte in un gesto (da cinefili) liberatorio
Si sa, la vita moderna è tutta una corsa, se non addirittura una rincorsa. Viviamo in una società dove “fast is good” (oltre che food), e i ritmi frenetici sono la normalità in quasi ogni ambito. Fino a poco tempo fa una delle eccezioni più significative era rappresentata dal rapporto tra l’individuo e l’arte, ma a quanto pare anche questo aspetto sta venendo meno, soprattutto in Italia. Anche se non sempre con esiti da condannare.
Bastano due minuti per vedere, guardare, osservare un affresco di Piero della Francesca? E 20 secondi per una statua del Canova? Evidentemente no, eppure questo è il tempo a disposizione di chi acquista un biglietto d’ingresso alla Chiesa di San Francesco ad Arezzo (30 minuti per 15 affreschi), alla Galleria Borghese di Roma (due ore per 20 sale) e in altri luoghi dell’arte e della cultura italiane. E non sempre, come accade per il Cenacolo di Leonardo, i limiti di tempo servono per ridurre il rischio di danni ad opere antiche quanto delicate: in alcuni casi è una semplice questione economica decisa da enti privati che gestiscono i musei. Il ragionamento, in sostanza, è: più veloce è una visita, più visitatori potremo avere.
Ma è un ragionamento che può funzionare? No, pensa (anche) Luca Del Fra, che su l’Unità nei giorni scorsi ha scritto un articolo dal titolo “Visite nei musei? Da velocisti. Va di moda la visita a cronometro”. Secondo Del Fra, questo modello di arte a tempi stretti può funzionare fino a quando “il «compratore» - ecco la definizione giusta per come sono trattati i visitatori dei nostri musei - opterà per altri prodotti, le fotografie pubblicitarie invece che Piero della Francesca, Topolino invece che Immanuel Kant, mentre gli stranieri sceglieranno di andare altrove - come già indicano i dati sul calo del turismo nel nostro paese”.
Il giornalista sostiene che la causa fondante di questo problema è da ricercare nelle “dissennate politiche culturali” dell’Italia, colpevoli di aver “trasformato le opere d’arte in un accessorio per il turismo”, ma da Torino arriva un’altra notizia che lega l’arte e la corsa: in questo caso, però, si tratta di un legame virtuoso, che coinvolge anche il cinema. La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, infatti, nei giorni scorsi si è fatta promotrice di un’insolita apertura al pubblico: CorsArt, ovvero la possibilità, in determinate fasce orarie, di correre a perdifiato per i corridoi della Fondazione. L’iniziativa rimanda alla celeberrima scena di “Bande à part”, film del 1964 diretto da Jean-Luc Godard e considerato una delle pietre miliari della Nouvelle Vague, in cui i tre protagonisti si scatenavano in una corsa tra le sale del Louvre (scena ripresa anche da Bernardo Bertolucci in The Dreamers, del 2003). Ogni giovedì dalle 20 alle 23, e venerdì sabato e domenica dalle 12 alle 19, sarà quindi possibile lasciarsi andare a una corsa liberatoria, in grado di unire arte, cinema e ritmi frenetici in un contesto che potrà far dimenticare, almeno per qualche minuto, le corse obbligate a cui gli appassionati dell’arte italiana sono costretti ogni giorno.
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