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L’inchiesta del "Corriere della Sera" mette a nudo una problematica che da tempo non solo noi di marketingdelterritorio.info (che già ne avevamo parlato nel nostro libro edito dal Gruppo 24 Ore) ma anche i vari opinion leader del settore sotolineano: vale a dire, il gap tra risorse culturali e il loro utilizzo in termini turistici, soprattutto quando persiste la mancanza di una strategia di promozione internazionale unitaria.

Bruno Caprioli - Mailander

Il Corriere della Sera di oggi, giovedì 11 aprile, pubblica un'inchiesta di Gian Antonio Stella (il giornalista che insieme al collega Sergio Rizzo pubblico il bestseller "La Casta") dal significativo titolo: "Tutti i musei pubblici d'Italia guadagnano meno del Louvre".

Gian Antonio Stella rivela alcuni dati impressionanti sulla capacità economica dei musei italiani (ne aveva già parlato lo scorso febbraio in un articolo dal titolo "I 36 visitatori al giorno della Dea di Morgantina"): c'è il caso estremo di Ravanusa che nel 2009 ebbe un unico visitatore pagante, ma ci sono tanti piccoli fenomeni preoccupanti: regioni dove il biglietto d'ingresso per i musei viene pagato da un visitatore ogni 18, musei archeologici con 1,4 visitatori al giorno e una situazione generale per cui tutti i centri museali d'Italia incassano, appunto, quanto il solo Louvre di Parigi.

Ventisei euro di incassi l'anno per ogni dipendente: è da apocalisse il bilancio dei musei e dei siti archeologici calabresi. Sparare solo sulla Calabria, però, sarebbe ingiusto. Sono i conti del nostro intero patrimonio culturale a esser tragici: tutte le biglietterie statali italiane messe insieme hanno fatto introiti nel 2012 per un centinaio di milioni.

Il 25% in meno del Louvre da solo. Sgombriamo subito il campo da una polemica: statue e dipinti, fontane e ville rinascimentali non hanno come obiettivo principale fare soldi. Prima vengono la tutela e la condivisione del patrimonio che ci hanno lasciato i nostri avi. Ed è giusto che sia così. Non c’è museo al mondo che possa reggersi sui biglietti. E se anche funzionassero da noi come nei Paesi più civili le cose di contorno che aiutano a produrre denaro (dalle caffetterie ai Bookshop, dai parcheggi al merchandising) non sarebbero sufficienti.

(Continua a leggere sul Corriere della Sera)

 

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