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philippe daverio

 

Un declino sociale, prima ancora che istituzionale, la mancanza di un progetto nazionale, ma anche margini di miglioramenti in questo "anno zero": è il turismo italiano nella visione di Philippe Daverio, volto noto della cultura e dell'arte in Tv


Vulcanico e stravagante, ma sempre lucido e appassionato, Philippe Daverio è uno dei personaggi più noti della cultura e dell'arte raccontate in televisione, grazie a programmi come Emporio Daverio o Passepartout. Allo stesso modo sono interessanti e mai banali le risposte che il critico d'arte e conduttore televisivo Rai (nonché promotore del movimento d'opinione Save Italy) ha dato nell'intervista concessa a "Lettera 43", nel corso della quale Daverio espone la sua visione sulla crisi e sulla possibile e necessaria ripresa del turismo italiano.

 

"Dovremmo domandare agli italiani se frega loro qualcosa" è l'esordio di Daverio. "Non è che tutti i Paesi devono rimanere floridi: il declino di una nazione è una scelta collettiva" accusa, riferendosi al fatto che "Abbiamo fatto un referendum popolare nel 1993 per abolire il ministero del Turismo. Vuol dire che il sentimento popolare nella realtà oggettiva non è favorevole".
Il critico spiega poi le responsabilità della politica, che a suo avviso non incoraggia certo la fruizione della cultura: "Abbiamo dei musei in punta all'Italia dove non entra nemmeno un visitatore in cui però campeggia un cartello grosso così: 'Vietato fotografare'. Del resto quando il museo è di proprietà del monarca, lo Stato, la preoccupazione è che nessuno deve portargli via qualcosa. Al Louvre invece le vendono proprio le macchinette per fotografare. Due culture molto diverse".
Daverio critica anche una concezione sbagliata di intendere il turismo da parte di alcuni operatori: "Quando viaggio in alcune parti di Italia trovo un sistema alberghiero che fa piangere" afferma, perché il piccolo operatore concepisce il turismo "come un'opportunità di fare cassa ma non ha linee di direzione: manca un progetto nazionale".
"Non abbiamo un turismo sul tempo lungo, ma solo vacanziero" afferma il conduttore, convinto che "sul turismo culturale, quello che dovrebbe puntare alla tutela del paesaggio, alla qualità delle coste e dei sistemi geografici, abbiamo fatto molto poco".
Il conduttore ricorda che "esportiamo più turismo che automobili", anche se "di automobili parliamo, di turismo no". "Mi sembra che siamo all'anno zero" dice allora Daverio che si augura "una presa di coscienza all'interno della macchina statale", soprattutto per un vero rinnovamento.
"Serve l'organizzazione. E la volontà politica" è l'opinione di Daverio. "Bisogna lavorare sul tessuto nazionale. Altrimenti i siciliani pensano che un albergo vada bene quando è aperto 51 giorni all'anno che è la media siciliana. E invece uno del Trentino lo apre 250 giorni l'anno. Lo Stato serve a mediare tra i 50 e i 250 e a fissare dei parametri di qualità".
Oltre a ciò, la ricetta di Daverio per una riforma politica del turismo italiano si concentra sulla distinzione tra cultura e ricettività: "La cultura serve a formare gli italiani di oggi e di domani, il turismo per usare il nostro patrimonio e fare cassa. Sono due cose molto diverse che viaggiano su binari paralleli". E rilancia così l'idea di un ministero apposito per il Turismo: "Un'authority nazionale potrebbe rilanciare la centralità del settore, istituzionalizzare la certificazione di qualità dei luoghi e lasciarla poi al mondo della comunicazione. Abbandonando scelte industriali totalmente irresponsabili".

 

Tutte le strade, da due anni, sembrano portare a Berlino, città europea più visitata di Roma. E conducono anche al Louvre che stacca 10 milioni di biglietti l'anno, quasi come tutti i musei italiani insieme. Arrivano certamente alle Canarie pronte a ospitare 75,4 milioni di pernottamenti in 12 mesi contro i sei della Sicilia.Per le statistiche non è insomma solo Pompei a crollare, ma l'intero sistema del turismo italiano a essere...

 

Leggi l'intervista completa su Lettera 43

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Fonte foto: ilvenerdidditribuna

 

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