I turisti fuori dai cancelli di Pompei e di musei e siti sparsi per l’Italia attendono il proprio turno, mentre gli italiani si avvitano in un dibattito che non lascia ben sperare per il futuro
“Facile dire: scommettiamo sulla cultura e sul turismo come leve di rilancio. Difficile ottenere i mezzi” se a esprimersi così è niente meno che il ministro della Cultura e del Turismo, Massimo Bray, viene da dire che ci aspettano tempi critici.
Intendiamoci, le parole di Bray sono sacrosante. Piuttosto, a colpire è quella sottile linea di rassegnazione che pervade le parole di Bray nella sua intervista per il Corriere della Sera. Un ministro insediato da una manciata di settimane, ma che ha già fatto i conti con la dura realtà, da Pompei al Colosseo passando per gli Uffizi e la Pinacoteca di Brera: dal 20 al 28 giugno, è stata una battaglia campale, con siti archeologici e musei chiusi per scioperi, riunioni, proteste.
“Poche ore dopo aver giurato da ministro sono subito partito per Pompei. Quando rimasi fermo sulla Circumvesuviana capii ciò che già in fondo sapevo: che i problemi di Pompei vanno ben oltre Pompei...”: ecco, se non altro il confronto con la realtà è stato immediato. Però non bastano consapevolezza e voglia di fare, in un contesto in cui dal 2008 al 2013 le risorse del MiBAC si sono ridotte a un terzo.
Basta pensare a qualche dato: gli archeologi in organico sono 343 per oltre 700 siti archeologici e monumenti dello Stato, i custodi in carico al ministero sono invece meno di 9 mila contro un organico fissato in 12 mila, e l’ultimo concorso per la vigilanza dei nostri siti e musei è stato bandito nel 2008 per 400 posti: si sono presentati in 139.000, di cui l’80% laureati.
I nostri problemi politici ed economici strutturali, però, non interessano a nessun turista, e a quanto pare neanche all’Unesco, che ha fatto scattare l’ultimatum per l’Italia: «Il governo italiano ha tempo fino al 31 dicembre 2013 per adottare misure idonee per Pompei e l’Unesco ha tempo fino al 1 febbraio 2014 per valutare ciò che farà il governo italiano e rinviare al prossimo Comitato mondiale 2014 ogni decisione» ha dichiarato il presidente della commissione nazionale italiana Unesco, Giovanni Puglisi. L’organizzazione culturale mondiale delle Nazioni Unite ha finora riconosciuto 981 siti in 160 Paesi, e l’Italia ne ha il maggior numero, ben 49. Ma non è un patrimonio acquisito una volta per tutte, ed è inutile continuare a nascondersi dietro al paravento degli errori di gestione – innegabili – commessi in passato.
“Se davvero siamo convinti che Pompei, e in generale il nostro patrimonio, costituiscano una priorità del nostro sviluppo, dobbiamo muoverci tutti insieme: governo, parlamento, istituzioni locali, professionalità del ministero, mecenati e non solo” dice allora il ministro Bray, invocando anche l’aiuto dei “benefattori” privati disposti a finanziare di tasca propria il patrimonio e la reputazione di tutti gli italiani. Una reputazione che è al 15° posto nel panorama turistico mondiale, come recentemente ci ha rivelato il Country Brand Index 2013,ma su cui i classici margini di miglioramento sono enormi se consideriamo che lo stesso Index vede il brand Italia al primo posto tra i sogni dei visitatori stranieri, nella tabella del patrimonio culturale e nella gastronomia. Ma per migliorare non basta il capitale, bisogna investirlo; eppure, dal 2001 ad oggi, gli investimenti sulla cultura sono calati dal 39% al 19% del nostro Pil.
In pratica, è come se fossimo i proprietari di un albergo bellissimo ma abbandonato al degrado. Da una parte c’è chi chiede risorse per farlo funzionare, dall’altra chi queste risorse non le vuole dare, perché dopo anni di sprechi i soldi nella borsa sono finiti. Fuori dalla porta, una lunga coda di aspiranti ospiti attende il proprio turno.
E allora, discussioni interne a parte, che facciamo: li accogliamo come si deve o aspettiamo che anche loro si rivolgano agli hotel francesi e spagnoli?
Bruno Caprioli - Mailander
Twitter @capriolibruno