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Il direttore dell'Ufficio del Turismo cinese in Italia: in media i turisti dalla Cina vanno in Italia per 1,80 giorni, dopo essere stati in Francia. Le lamentele riguardano la sicurezza, la lingua, Internet e anche il cibo

Sono e saranno ancora per parecchi anni il "tormentone" del turismo mondiale, ma per l'Italia potrebbero essere più che altro un tormento. I turisti cinesi, e i loro yuan, rischiano infatti di diventare un cruccio per l'industria dell'ospitalità nostrana, come confermano i dati comunicati da Liu Cheng, il direttore dell'Ufficio Turismo cinese in Italia

Dal 2004 in avanti, ha riferito Liu Cheng all'Ansa, la quota di cinesi che viaggiano all'estero per turismo cresce in maniera tumultuosa, a ritmi vicini al 20% l'anno nell'ultimo periodo. Nel 2013, aveva riportato il China Daily negli scorsi mesi, i cinesi che hanno effettuato viaggi all'estero sono stati 97 milioni, ben 14 milioni in più rispetto al 2012. Una crescita che procede di pari passo con il benessere che sta interessando la fascia media di un Paese da 1,35 miliardi di persone.
Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale del Turismo UNWTO, nel 2020 saranno quindi almeno 100 milioni i cinesi che viaggeranno all'estero. Un'opportunità palesemente straordinaria per le nostre 450.000 imprese del settore, purché l'Italia sia pronta a coglierla.

Purtroppo però, le parole del direttore dell'Ufficio Turismo cinese in Italia comunicate all'Ansa lasciano poche speranze. "Tra le mete europee la Francia figura al primo posto, l'Italia resta in seconda posizione – ha spiegato Liu Cheng – In media un turista cinese in un viaggio organizzato trascorre in Italia meno di due giorni (1,80% giornate). Sono circa 2 milioni l'anno, arrivano dalla Francia e trascorrono in Italia meno di due giorni, tappe obbligate Venezia e Roma, oppure Firenze e Roma. Il tour in Europa dura in genere 11-12 giorni e in questo tempo visitano almeno 3-4 paesi".
In poche parole, Liu Cheng riassume quindi parecchi tormenti della questione relativa ai flussi cinesi nel nostro Paese: arrivano qui dopo la Francia, si fermano (e quindi spendono) poco, e visitano sempre le solite e affollate mete.

Ma oltre ad approdare in Italia in seconda battuta e con il portafoglio già presumibilmente alleggerito dagli acquisti in territorio francese, spiega ancora Liu Cheng, ci sono altri problemi: "Una volta superato lo scoglio del visto" (sono stati solo 282.000 i visti concessi l'anno scorso, ci aveva spiegato il professor Dall'Ara) "ci sono poi le difficoltà della lingua, sono poche le guide turistiche che parlano cinese".
"Altre lamentele riguardano la qualità del cibo che non è buona, e la quantità non basta" ha affermato il direttore, ma in questo caso la spiegazione non urta l'orgoglio italiano: il problema riguarda infatti il fatto che i turisti in arrivo dalla Cina preferiscono o hanno l'abitudine di frequentare i ristoranti cinesi in Italia, e il livello non è equivalente alla cucina consumata nel loro Paese.
Sul versante alimentare, peraltro, già allo scorso TTG di Rimini era stato riportato il modello dell'Australia e dei suoi sforzi per diventare China-friendly. Nelle camere d'albergo australiane, infatti, le barrette di cioccolato stanno lasciando il posto agli instant noodles e i bollitori per il tè sono una consuetudine consolidata: grazie anche a simili accorgimenti, le prenotazioni da parte dei visitatori cinesi in Australia sono aumentate di quasi il 25% nell'ultimo anno.

Il direttore dell'Ufficio del Turismo cinese conferma questa mancanza per il nostro Paese: i turisti della Repubblica Popolare, spiega Liu Cheng, vogliono poter comodamente bere il loro tè in camera, ragion per cui i nostri alberghi dovrebbero assolutamente essere provvisti di thermos. Altra lamentela riguarda infine la scarsa sicurezza delle nostre strade, con scippi e borseggi che spaventano i turisti.

Insomma, ancora una volta la questione dei flussi turistici dalla Cina in Italia rischia di divenire un cruccio per il nostro Paese. La voce turismo incide oggi sul Pil cinese per il 3-4%, ma l'obiettivo dichiarato da Pechino è di raggiungere il 7%. Corea del Sud, Russia, Stati Uniti e Giappone sono le mete principali di 12 milioni di turisti cinesi ogni anno. Tra le mete europee, anche l'Italia sta crescendo: ogni anno 2 milioni di cinesi visitano il Bel Paese, molti di più dei 250.000 turisti italiani in Cina. Il 70% dei cinesi che va in Europa visita l'Italia, e questo conferma che i cinesi amano il nostro Paese, di cui conoscono molto bene il calcio e la moda. Secondo uno studio della China Tourism Academy, inoltre, il 52% dei cinesi ottiene informazioni sulle destinazioni da visitare tramite internet, e considerata la mancanza di informazioni in lingue diverse dall'italiano (figuriamoci il cinese), si può comprendere come il nostro Paese rischi di perdere un'opportunità davvero epocale.

 

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Fonte foto: Touringmagazine (Luz Photo)

 

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