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"Se ogni prodotto americano evoca il sogno (libertà) su cui è stato fondato quel paese; se ogni prodotto che arriva dalla Germania evoca la perfezione esecutiva (la qualità tedesca); ogni prodotto dell'Italia evoca lo stile (e la bellezza)": "ci vogliamo scommettere davvero?" si chiede Antonio Preiti, economista e direttore di Sociometrica.


La domanda, che in realtà conclude l'accorato appello sulle pagine del suo blog per l'Huffington Post, è palesemente retorica: certo che ci vogliamo scommettere, il punto è come farlo e come vincere questa scommessa.
"Una macchina da guerra, ci vorrebbe" è l'opinione di Preiti. Una macchina da guerra senza armi di distruzione ma al massimo di istruzione, "per trasformare la reputazione del paese in successo, ricchezza e lavoro. Una macchina da guerra intelligente, capace di connettere con la comunicazione e la promozione, il mondo della cultura, del turismo, della cucina e del made in Italy. Difficile si dirà, difficile si risponde, ma non impossibile; e soprattutto necessario. Se non qui, dove? In quali altri settori il potenziale è così grande, così promettente, così solido?"
Il direttore di Sociometrica cita quindi l'esempio della moda: un tempo c'erano molti ottimi sarti, ma "ciascuno per sé, nel suo guscio, e nessuna massa critica. Poi qualche mente lungimirante ha capito che su quelle basi si potevano creare grandi imprese e conquistare il mondo. Lo si è fatto, e oggi le imprese italiane della moda, insieme agli amici/nemici francesi, sono le prime al mondo".
Perché, allora, non fare la stessa cosa con cultura e turismo? Perché rimanere impaludati in "eterni dibattiti sulla contrapposizione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali"? Perché resiste la concezione per cui "la gestione di un "bene culturale" possa tralasciare il numero dei suoi visitatori"?
Appunto perché, spiega Preiti, è necessaria una macchina da guerra che si basi su un elemento fondativo comune: "l'attrattività".
"Basta con i campi separati: un museo è attrattivo (quando lo è) come un paesaggio (quando lo è); un programma di lirica è attrattivo (quando lo è) come un ristorante (quando lo è). Il tratto comune è la capacità attrattiva, non la sua appartenenza all'una o all'altra categoria" enuncia l'economista.
Che spiega come l'attrattività vada ricercata e promossa "in tutti quegli elementi che abbiano un carattere italiano, esprimano la sensibilità dell'Italia, incorporino il nostro stile. Questo vale anche per i prodotti industriali. La Vespa e un dipinto di Tiziano sono accomunati proprio dalla loro capacità di parlare dell'Italia, e contribuire, ciascuno nel suo linguaggio, a rievocare all'estero la natura speciale dell'Italia".
Il riferimento diventa quindi l'estero, "con la possibilità di trarre vantaggio dalle qualità riconosciute". Qualità riconosciute, appunto, e promosse da un sistema che la valorizzi: "la "macchina da guerra" non può che lavorare sugli standard di qualità. Nel mondo libero ciascuno è anche libero di produrre cose mediocri, o di gestire in maniera mediocre cose altrimenti eccellenti. Va perciò promosso pubblicamente solo quello che merita. (A Londra per le Olimpiadi erano inclusi negli elenchi ufficiali solo alberghi, ristoranti, musei che avessero superato una soglia di qualità)". Una soluzione che "da un lato garantisce i consumatori e dall'altro rappresenta un traguardo anche per chi non l'ha ancora raggiunta".
"Promozione come desiderio di perfezione" è l'invito che Preiti fa per la valorizzazione della bellezza italiana, ovviamente fuori dai nostri confini. "Bisogna avere una rete estera, senza dubbio. Oggi c'è quella estesissima degli Istituti Italiani di cultura, seconda solo a quella inglese, francese e, forse, americana. C'è la rete dell'Enit, con alcune location fantastiche, la Scuola Dante Alighieri, per la diffusione della lingua italiana, e poi una galassia, indistinta e variamente congegnata, delle camere di commercio. C'è poi l'ICE e anche le regioni hanno ancora sedi in vari paesi". Ma soprattutto, rivendica Preiti, "ci sono le aziende italiane, i marchi conosciuti in tutto il mondo".
E allora, tornando alla rete estera, Preiti sostiene che "l'idea di chiudere tutto è come scegliere la morte come soluzione alle malattie".
"Il problema semmai è come rispondere, anche all'estero, alla fame di Italia" e in questo senso (lato) "ci sono infinite possibilità": dall'insegnamento della lingua italiana per arrivare più in generale alla promozione di cultura e turismo italiani. "È follia pensare che alcune mostre, riprese dal patrimonio italiano, possano essere presentate con successo all'estero? Sono folli al Guggenheim di New York a scegliere i Futuristi italiani come mostra di punta del 2014?"
"Parlare dei contenitori senza badare ai contenuti: questa è la vera follia! Pensare che se una cosa è stata fatta male, allora si debba chiudere, senza neppure lontanamente pensare che si potrebbe far meglio, è la follia" afferma l'economista.
È difficile rompere "la ragnatela che ci abbiamo costruito intorno, e che ci impedisce di far bene" ma è un'operazione necessaria e non più rimandabile. "Un sistema che impedisce di scegliere, di premiare chi è bravo e di invitare alla porta chi non lo è, è una ragnatela di ferro che ingessa qualunque cosa e costringe a parlare d'ingegneria istituzionale come la chiave del problema. Ma non lo è".

La "macchina da guerra" di Preiti, quindi, "dovrebbe avere un leader-paese (Esteri, Enit ... non importa) che abbia la visione di come, in un determinato paese, si possa affermare il senso dell'Italia. Strategia per missione, non per routine".

Una macchina da guerra, ci vorrebbe. Per trasformare la reputazione del paese in successo, ricchezza e lavoro. Una macchina da guerra intelligente, capace di connettere con la comunicazione e la promozione, il mondo della cultura, del turismo, della cucina e del made in Italy. Difficile si dirà, difficile si risponde, ma non impossibile; e soprattutto necessario. Se non qui, dove? In quali altri settori il potenziale è così grande, così promettente, così solido?

 

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Una macchina da guerra, ci vorrebbe. Per trasformare la reputazione del paese in successo, ricchezza e lavoro. Una macchina da guerra intelligente, capace di connettere con la comunicazione e la promozione, il mondo della cultura, del turismo, della cucina e del made in Italy. Difficile si dirà, difficile si risponde, ma non impossibile; e soprattutto necessario. Se non qui, dove? In quali altri settori il potenziale è così grande, così promettente, così solido?

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