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Il tempo delle lacrime è finito, ora bisogna riordinare le idee e attuare un programma nuovo per far convergere le energie trasformando la concezione stessa di "turismo"


È questo il "doppio binario" da seguire per "cambiare tutto" nel turismo italiano, secondo l'economista Antonio Preiti, direttore di Sociometrica, che ha pubblicato il libro "Turismo: cambiare tutto" con Gallucci Editore. "Basta: con il lutto (non elaborato) della perdita del primato mondiale nel turismo; con il piagnisteo sul disastro che ci circonda (ma è proprio così?); con la metafora della cultura che sarebbe il 'nostro petrolio', invenzione lessicale di De Michelis-ministro, che risale alla notte dei tempi, e che a ogni passo riascoltiamo, pronunciata come fosse la novità del momento" scrive Preiti nel suo blog sull'Huffington Post.
Terminato il tempo delle lamantere, quel che occorre è pensare "alle cose da fare, qui e ora, ai cambiamenti necessari per tornare primi, o almeno per alimentare la nostra ambizione di fare del turismo, anzi del nostro Paese, qualcosa di importante, trasformando l'attrazione in reddito nazionale, occupazione e - perché no? - in orgoglio nazionale".
Preiti indica quindi il "passo doppio da seguire" per innovare e rinnovare profondamente il settore: "da un lato aggiustare idee, programmi, impostazioni all'interno del mondo del turismo e dall'altro mettere in campo la convergenza dell'industria dell'ospitalità, della cultura e del made in Italy in maniera originale, efficace, sorprendente".
Per iniziare, quindi, è indispensabile liberarsi delle "idee sbagliate", presunte verità che sono invece "errori conclamati, già a cominciare dal nome stesso turismo. Il turismo esiste, come esiste il mangiare, il leggere, l'andare al cinema, come fenomeni sociali di carattere generale, ma la nostra attenzione si deve appuntare sull'industria alimentare, sull'industria editoriale, sull'industria multimediale e, per il turismo, sull'industria dell'ospitalità". Un vero e proprio cambio di mentalità, per evitare ambiguità e danni generati dalle concezioni dominanti: "ad esempio, una conseguenza è che abbiamo i numeri sbagliati: il numero delle persone che fa vacanza, arrivi e presenze (per altro da accertare nel loro valore reale), ma non abbiamo il dato fondamentale del rendimento di una camera alberghiera. Parliamo sempre di geografia (siamo ancora fermi a classificazioni come località balneari, d'arte, ecc.) con una visione ottocentesca, mentre oggi le destinazioni (destinazioni! non prodotti, per carità) si dividono secondo il mercato di riferimento: week-end, vacanze lunghe estive, settimane bianche, e così via".
L'economista fa poi riferimento ad altre forme di viaggi, affermando che "parlando di turismo ci perdiamo oltre la metà del mercato, fatto di persone che viaggiano non per il loro tempo libero, ma per lavoro. Quando ci si presenta in albergo, a nessuno è chiesto il motivo del viaggio". E quindi lancia la proposta di intendere "il consumo di viaggi e vacanze come una performing art del turista più che la vendita di "pacchetti" da supermercato". "Il vedere le cose (sightseeing) non è oggi il fattore centrale della vacanza, quanto l'esperienza e la gratificazione soggettiva che se ne ricavano" e "le destinazioni devono essere pensate come brand, come avviene per l'industria della moda, e non per le loro caratteristiche orografiche e storiche": questi i punti di partenza per riordinare le idee.

 


Il secondo binario, o il secondo passo da seguire, nell'analisi di Preiti, è "l'agenda delle cose da fare", e qui l'economista suggerisce di cominciare dalla fine, ovvero dal Sud: "vogliamo far crescere i numeri del turismo in questa parte d'Italia (dove en passant soggiorna meno del 10% degli ospiti internazionali)? Lavoriamo sui week-end (segmento che manca completamente in queste regioni, che vive solo del mercato delle vacanze lunghe estive) e per farlo bisogna lavorare sulle tariffe aeree (magari meno soldi pubblici, ad esempio, a Ryan Air che da Bologna porta per pochi euro il popolo emiliano alle Canarie, a Ibiza, a Lanzarote, ecc.), sui collegamenti ferroviari, sulla Salerno-Reggio Calabria. Non serve la promozione se mancano i presupposti per stare sul mercato". Tra le cose da fare Preiti cita poi doverosamente la strategia digitale, tema per il quale denuncia scarsa conoscenza delle regole del mercato da parte degli alberghi e la cronica mancanza di comunicazione tra i differenti livelli di siti internet istituzionali.
"Ci serve di mettere in campo la cultura, ma davvero. Trasformare i nostri musei in qualcosa di attraente, non solo per le opere che contengono, ma per l'esperienza che possono promettere. I musei non sono luoghi lontani, distanti, inaccessibili, ma devono essere il centro vitale dell'identità cittadina" propone il direttore di Sociometrica, che suggerisce di dare autonomia ai "musei –superstar", di utilizzare "le nuove tecnologie per rendere vive le visite nei siti archeologici", così come di lavorare "sulle mostre, che sono il mezzo attraverso cui un'eredità culturale si trasforma in evento, in contemporaneità".
Infine, tra le cose da fare Preiti inserisce la logistica, "quel mondo pesante e grigio di cui non parla nessuno (più facile parlare del cibo) che oggi è decisivo per accogliere gli ospiti che arrivano da altri continenti", come dimostra la massiccia presenza di turisti cinesi in Germania. Per esempio, Preiti indica il lavoro da fare per "intercettare il segmento turistico che al mondo cresce di più, quello delle crociere" realizzando "2/3 fun port, cioè porti accoglienti, vetrina del paese e delle sue tipicità".
Per "cambiare tutto", in conclusione, Preiti chiede agli operatori del turismo nostrano: "Abbiamo capito che l'entertainment è oggi il business più grande del consumo? Che il mondo della moda, quello della cultura, del cibo, del design e dell'industria dell'ospitalità hanno un denominatore comune che si chiama attrazione-paese e che, quando c'è, vale per tutti, ma vale per tutti anche al negativo?".
Basta alle lamentele, e basta anche al "narcisismo collettivo" sul Paese più bello del mondo: "la percezione del Paese non è una luce da adorare, mentre decade la sua realtà di riferimento, ma l'elemento che ci permetterà di stare al mondo con un senso nazionale irriducibile a quello degli altri".

 

Basta: con il lutto (non elaborato) della perdita del primato mondiale nel turismo; con il piagnisteo sul disastro che ci circonda (ma è proprio così?); con la metafora della cultura che sarebbe il "nostro petrolio", invenzione lessicale di De Michelis-ministro, che risale alla notte dei tempi, e che a ogni passo riascoltiamo, pronunciata come fosse la novità del momento.

 

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