fbpx

Un viaggio in Israele: se partire è una scommessa, partire insieme è una promessa

A Guglielmo, Andrea, Stefano, Sara, Lucrezia e Riccardo

Israele, nazione del Medio Oriente sul Mar Mediterraneo, considerata da ebrei, cristiani e musulmani la Terra Promessa menzionata nei testi sacri.
I siti religiosi più importanti si trovano a Gerusalemme: nella città vecchia, il complesso del Monte del Tempio comprende la Cupola della Roccia, lo storico Muro del Pianto, la Moschea di Al Aqsa e la Chiesa del Santo Sepolcro. Tel Aviv, il polo finanziario di Israele, è invece famosa per l’architettura Bauhaus e le spiagge

Consapevoli o meno, i miei amici e io a fine dicembre abbiamo deciso di metterci in viaggio alla scoperta di Israele.
Metà bagaglio a mano a testa, cinque scali, una notte in aeroporto, sistemazioni diverse e non proprio confortevoli: fin dall’inizio l’idea era quella di vivere all’avventura, ma soprattutto di passare del tempo insieme.

Partiamo da Bergamo e, dopo qualche ora (in realtà ben 24), arriviamo all’aeroporto di Tel Aviv. Il primo incontro con la cultura locale è indubbiamente “di impatto” in quanto è sabato, giorno dello Shabbat.

Nella religione ebraica lo Shabbat -
in ebraico: שבת - è la festa del riposo, che è celebrata ogni sabato.

Troviamo una città ferma, vuota, quasi disabitata. Non c’è nessun treno, nessun trasporto pubblico all’orizzonte. Il giorno sacro è davvero sacro: tra il sentirlo raccontare o leggerlo e il viverlo di persona c’è davvero una bella differenza.

Non abbiamo molte alternative: per la modica cifra di 67 shekel a testa (circa 18 euro) riusciamo a salire a bordo di uno sharing taxi e ci facciamo portare fino a Gerusalemme, la nostra prima tappa.

Non potendo posare le valigie in alcun luogo siamo costretti a tirarci dietro i nostri trolley per l’intera giornata. Per fortuna non sono eccessivamente pesanti, dato che sulla base delle previsioni meteo siamo partiti con la convinzione di trovare un clima più mite rispetto a quello italiano.

Invece fa freddo. Fa freddo e c’è silenzio. Passiamo per la stazione, per la via centrale che collega la città al mercato e sono poche le persone in giro. La calma viene interrotta soltanto dalle nostre chiacchiere e dal rumore plastico delle rotelle delle nostre valigie.

Camminando arriviamo nella città vecchia, dove sembra che qualcosa si stia svegliando: ci sono i classici banchetti acchiappaturisti che iniziano a esporre calamite e collanine. Noi continuiamo a salire e a scendere per le mura di Gerusalemme con l’intenzione di raccogliere qualche primo ricordo. “Vale, guarda!”: ci fermiamo e scorgiamo da una porticina un frammento di timido cielo azzurro. Proviamo a entrare e veniamo accolti da un piccolo patio e una chiesetta in fase di ristrutturazione. Ci sono persone che lavorano, oltre a qualche altro turista che come noi si è lasciato incuriosire. È questo quello che mi aspettavo: scoprire una città a piccoli passi, come quando apri una vecchia scatola di ricordi.

La mattina procede e tra i vari scali non ci ricordiamo bene che ora è, ma seguiamo l’istinto: ci fermiamo a mangiare in un locale gestito da un signore del posto. Proviamo pollo, falafel, pita, hummus e té alla menta.

La giornata continua e il viaggio prosegue. Finalmente riusciamo a posare le valigie in una casa, la “nostra” prima casa in Israele, e a farci una doccia.

L’indomani ci avviamo con tanto di mappa della città (senza mappa cartacea non è un viaggio) di nuovo verso la parte storica per scoprire i segreti del Muro del Pianto e la bellezza del Monte del Tempio. La coda è veloce. Uomini e donne vengono divisi in due file: la parte riservata alle donne è a colpo d’occhio più piccola e meno curata, mentre quella degli uomini comprende anche una zona coperta in caso di pioggia - così mi raccontano i miei compagni di viaggio. Usciti, ci mettiamo nuovamente in fila per salire sul Monte del Tempio. È mezzogiorno, i raggi del sole si rispecchiano sulla cupola dorata e la luce si fa calda: inutile aggiungere che da qui le foto sono stupende. “Ehi, ci facciamo una foto insieme?”.

Scendendo dal Monte ci fermiamo a parlare con un oste. Si scusa per essersi sfogato con noi, per averci rubato del tempo: è palestinese e sogna un futuro migliore per i suoi figli, non per sé ー dice: “Io ormai sono vecchio”.

Israeliani e palestinesi non hanno bisogno di erigere un muro che li separi: hanno bisogno di abbattere il muro che li divide.” — David Grossman

E forse oggi, e forse sempre, e forse a partire da noi dovremmo smetterla di costruire muri, difendere confini immaginari.

Ci spostiamo verso il mercato della città, quello che abbiamo incrociato al nostro arrivo: ora è colorato, pieno di profumi, persone e voci. Ci perdiamo tra le bancarelle delle spezie, tra scatole di frutta e verdura, tra confezioni giganti di uova XL. Decidiamo di fare qui la spesa per la nostra cena.

Il giorno dopo, sveglia presto: oltre ogni aspettativa siamo pronti per prendere il bus direzione Ein Bokek, Mar Morto.

Pian piano che abbandoniamo la città, il paesaggio si tinge di colori più caldi. La mia mente si perde in questi spazi in cui le nuvole e i confini sembrano danzare tutti insieme su una stessa musica. Quando arriviamo sulle rive del Mar Morto troviamo un cielo che gioca a rispecchiarsi nell’acqua: sembra di essere all’interno di un quadro, un microcosmo dipinto con minuzia da un pittore sapiente. Ci fermiamo, avvolti da un senso di quiete e di placida bellezza.

Torniamo verso Gerusalemme lasciandoci il tramonto alle spalle e, cotti dal viaggio, ci addormentiamo sul bus sulla via del ritorno.

Dopo una veloce cena ristoratrice in un locale tra i banchi del mercato decidiamo di fare una passeggiata per vedere la città sotto una luce diversa.

Camminando tra le vie della città vecchia iniziamo a perderci, perché è ciò che vogliamo. Quello che ci troviamo davanti è qualcosa di magico, qualcosa di completamente diverso dalla vista che ha riempito i nostri occhi con il sole. Il cielo è nero ma pieno di stelle, la città è silenziosa ma non deserta. Chi incontriamo sa dove stava andando; noi no, perché noi abbiamo cercato di farci guidare dalla curiosità. Abbiamo cercato il volto di una città autentica, lontana dalle voci dei turisti. Dopo tanto camminare, siamo giunti dove le mura ci aprivano la vista sul panorama della città. Ci sentivamo piccoli e le stelle ci facevano compagnia confondendosi con le luci.

Altro bus, altra meta: il giorno seguente ci spostiamo verso Tel Aviv per festeggiare la fine dell’anno, un anno di momenti passati insieme, di risate, di cene. Un anno di “Se mi mandi un altro audio lo faccio registrare alla SIAE”, un anno di “Ti richiamo appena esco dall’ufficio”, un anno di “Andiamo a sciare?”, di “Domenica ti va di venire a una mostra?”. Un anno passato a scrivere scemenze in una chat di whatsapp, un anno di litigi e incomprensioni, un anno di abbracci, un anno di foto (possibilmente un po’ stupide). Un anno di domande e di risposte, di viaggi in macchina, di attese sotto casa, di preoccupazioni, di feste.

Un detto popolare israeliano recita: “Gerusalemme prega e Tel Aviv si diverte”. È una città dalle due facce, una storica e una moderna, fatta di grattacieli con vista sul Mediterraneo e di piccoli vicoli e colorati murales, di botteghe, di artisti.

Costeggiamo il mare: qualche surfista solca le onde, noi passeggiamo.
“Ehi fermati, ma non mi guardare, ti faccio una foto”.

Giunti nella nostra seconda dimora, ci accorgiamo subito di quanto possa essere scomodo avere un bagno in sette, ma nonostante le prime difficoltà (muri alti 1.80m e amici alti 1.90m) prepariamo un cenone per la notte di Capodanno all’altezza dei nostri festeggiamenti.

10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1...
Buon anno!

Forse tra le urla, il countdown e i brindisi, mi dimentico di tirare le somme e di fare una lista dei buoni propositi per l’anno nuovo. Su due piedi penso che forse il mio miglior proposito per il 2020 possa essere questo: dimenticare le cose brutte e ricordarsi dei momenti belli, belli come questo viaggio.

Usciamo e concludiamo la nostra vacanza perdendoci tra i fiumi di gente per il centro di Tel Aviv.

valesicoli

Valentina Sicoli

Twitter: @ValentinaSicoli

LEGGI ANCHE: Io, la Norvegia e il silenzio del Nord

Visionary Days 2019, il futuro del Pianeta nelle menti dei giovani creativi

Death Stranding: il videogioco che aiuta a riconnettere i borghi italiani

 

 

 

Questo sito utilizza cookie tecnici che ci consentono di migliorare il servizio per l'utenza. Per ulteriori informazioni leggi la nostra Cookie e Privacy Policy. Leggi di più