Adesso che il 2015 è alle spalle, possiamo dirlo: dopo Expo, abbiamo tempo e modo di immaginare uno sviluppo territoriale più maturo, razionale, consapevole. In una parola, più scientifico.
Ancora in attesa dei numeri ufficiali e definitivi di e su Expo Milano 2015 (alcuni dei quali li anticiperemo nel prossimo del nostro Destination Magazine), possiamo dire due cose: non è stato un flop anche se non ha attirato i milioni di visitatori stranieri in più che alcuni speravano. Tra gli aspetti positivi, possiamo annoverare l’iniezione di fiducia al comparto turistico-culturale italiano, che ora è più convinto della propria capacità di realizzare e gestire eventi di grande portata con una buona eco internazionale.
Tra quelli negativi, soprattutto secondo alcuni commentatori, l’occasione forse non perduta ma rimandata di creare un evento con una connotazione geografica ben definita in grado di generare effetti benefici a tutto il Paese.
Ed è su questo aspetto che dobbiamo soffermarci. Partendo da un dato di fatto incontestabile: Expo non era l’occasione per far conoscere l’Italia al mondo, per il semplice fatto che tutto il mondo conosce già l’Italia (e la sua cucina), più o meno approfonditamente. Per questo risulta se non altro curioso immaginare – ad esempio – una famiglia di giapponesi, sudafricani o canadesi che viene a sapere che in Italia si tiene una esposizione universale dedicata all’agroalimentare di tutto il mondo e ne fa il motivo principale di una vacanza, “e magari già che ci siamo vediamo anche Roma, Venezia, la Sicilia e la Puglia”. Perché fortunatamente non sono certo i motivi di interesse che mancano a chi, da qualunque parte del mondo, voglia venire a visitare una nostra città, una nostra regione o una serie di territori. Con o senza Expo.
Il semestre milanese, semmai, doveva e deve ancora servire a far capire al mondo che l’Italia non è “solo” uno dei Paesi più belli del mondo, ma che è una nazione che in termini di accoglienza sta facendo finalmente il salto di qualità. Dove si hanno interlocutori sul posto (in albergo, nei ristoranti, negli impianti balneari o sciistici, ai monumenti, nei centri di informazione) che non si esprimono solo in italiano o a gesti; dove non si viene raggirati o dove l’itinerario e le tappe scelte prima di partire non vengono stravolti da scioperi, mezzi di trasporto inefficienti o incomprensibili chiusure di strutture pubbliche e private.
Il compito di Expo era soprattutto di mostrare al mondo che l’Italia sa creare anche prodotti turistici efficienti, di successo e al passo con i tempi. E nonostante le comprensibili paure della vigilia, così è stato, e la figuraccia degli italiani inconcludenti e inaffidabili l’abbiamo evitata.
Certo, ora dal Giubileo di Roma ci si aspetta una conferma della buona immagine diffusa da Milano, ma il 2016 non sarà un altro anno legato a un unico grande evento. Le “vacanze” sono finite, e l’Expo è stata una “vacanza” attesa e preparata per molto tempo. Abbiamo fatto funzionare più o meno tutto ed è ora di tornare al lavoro quotidiano mettendo a frutto l’esperienza appena trascorsa. Gli effetti di Expo, quelli indiretti, si potranno misurare nel corso degli anni, a patto di proseguire con un impegno costante per l’affidabilità italiana agli occhi dei turisti globali.
Bruno Caprioli
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