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Note dolenti. La classifica annuale di visitatori nei musei del mondo, redatta dal Giornale dell’Arte & The Art Newspaper, fa registrare un calo generalizzato di tutti i musei italiani, delle antichità e del contemporaneo. Per dirla alla Sgarbi: “La Repubblica italiana non è fondata come dovrebbe essere sulla bellezza, che ne è la prima incontrastabile caratteristica, ma sul lavoro. Faticherei ad obiettare, perché il lavoro è la condizione prima della libertà”. Allora di chi è la colpa?  Per Sgarbi, è facile trovare il capro espiatorio nel sentimento di assuefazione alla bellezza del nostro territorio da parte di chi lo abita. Noi italiani e i nostri politici.

“Difficile che, con tale condizione antropologica, si possa porre al centro della nostra economia (e cioè del lavoro) l’arte” cioè la bellezza, il nostro petrolio. Il problema quindi è nella politica? Domenica scorsa, intervistato da Fabio Fazio, il premier Letta a “Che tempo che fa” ha dichiarato che non ci saranno ulteriori tagli alla cultura e all’istruzione: “Io mi dimetterò se dovrò fare tagli alla cultura, alla ricerca e all’università”.  Un raggio di luce o promesse da neo-incarico? Vedremo.

Certo, per il 2012, anno di austerity e tagli, la classifica del Giornale dell’Arte ci consegna un calo di 800.000 spettatori nei musei italiani, generalizzato all’intero sistema, dei musei dell’antichità e del contemporaneo. Qualche settimana fa, sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella lanciava l’allarme: “Sono i conti del nostro patrimonio culturale a essere tragici, tutte le biglietterie statali messe insieme hanno fatto introiti nel 2012 per un centinaio di milioni: il 25% in meno del Louvre da solo”.

Sua maestà il Louvre guida la classifica mondiale con dieci milioni di visitatori, un incremento di un milione rispetto al 2011, dovuto anche all’inaugurazione del padiglione islamico. Quello che ci consola – o forse che deve dare un incentivo agli italiani nel credere alla cultura come volano di crescita – è che il Louvre crea ricchezza e indotto anche con il patrimonio italiano, ovviamente il rinascimento con la Gioconda e i Caravaggio, ma anche con la contemporanea. Michelangelo Pistoletto, protagonista dell’ultima grande avanguardia italiana e imprenditore della contemporanea con la sua Cittadellarte di Biella, ha da poco inaugurato “Anée 1, Le Paradis sur terre” portando i suoi specchi e la Venere degli stracci a dialogare con i maestri universali e il simbolo del suo Terzo Paradiso impresso sulla piramide voluta da Mitterrand.

È quindi paradossale che nella top ten, in cui dietro al Louvre si piazzano il Metropolitan di New York e quattro londinesi (British, Tate Modern, National Gallery e Natural History Museum), arrivino i Musei Vaticani, che appartengono a Città del Vaticano, e che per scorgere il primo museo italiano, gli Uffizi, sia necessario scendere fino alla ventitreesima posizione. Nella top 100 mondiale l’Italia posiziona altri sei musei: Palazzo Ducale a Venezia al 33esimo, la Galleria dell’Accademia a Firenze al 39esimo, al 68esimo Castel Sant’Angelo a Roma, la Galleria Costume a Firenze all’86esimo, il Museo Centrale del Risorgimento a Roma al 94esimo e la Reggia di Venaria al 95esimo. Come si evince, la classifica è dominata dai musei delle antichità e universali.

Il contemporaneo soffre, ma in Italia più che all’estero. Con 5 milioni di visitatori, la Tate Modern di Londra cresce ancora e consolida la leadership; dietro, il Pompidou a Parigi (3,8 millioni), il MoMA (2,8 milioni) e il Guggenheim a New York (1,1 milioni, oltre 150 mila visitatori più della sede di Bilbao) restano stabili, a crescere sono la Tret’jakov a Mosca e la Saatchi Gallery a Londra (1 milione e 400.000 per entrambe le strutture). Numeri che fanno impallidire i musei contemporanei italiani: il Macro e la sua sede al Testaccio a Roma al numero 24 della classifica generale italiana hanno staccato 300 mila biglietti; il MaXXi precipita dalla sedicesima alla trentaseiesima con 209 mila biglietti, ma certo ha pesato il commissariamento e la chiusura temporanea dello spazio, terminata lo scorso ottobre con la nomina a presidente di Giovanna Melandri. Seguono la Fondazione Pinault (con le due sedi di Palazzo Grassi e Punta della Dogana con 183 mila biglietti), il Mart di Rovereto con qualche migliaio in meno, la Triennale (159 mila) e l’Hangar Bicocca (154 mila) a Milano, il Castello di Rivoli (107 mila) e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (95 mila) nell’area torinese.

Nel 2012, ad aprile e poi a ottobre, l’AMACI, associazione che riunisce 26 musei d’arte contemporanea italiani, presieduta da Beatrice Merz e Ludovico Pratesi, convocava il ministro Ornaghi per un confronto. Due richieste di audizione, due assenze. E si torna alla politica. Mentre al Louvre, dieci milioni di visitatori si godono il nostro patrimonio, passato e recente.

 

Pietro Martinetti - Mailander

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