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Perché viaggiamo? Perché ci emozioniamo di fronte alla bellezza? Le neuroscienze possono essere determinanti nelle nuove pratiche di attrazione turistica e culturale

Chi si occupa di comunicazione avrà sicuramente sentito parlare in tempi recenti di “neuroscienze”: un termine di per sé intrigante, ma in realtà ancora poco conosciuto nelle sue enormi potenzialità per diversi settori della nostra professione.
Martedì 8 maggio 2018 a Torino si è svolta l’assemblea plenaria degli associati piemontesi e valdostani di AIDP – Associazione italiana per la direzione del personale, e le neuroscienze sono state al centro della giornata di confronto dal titolo "Neuroscienze, Persone e Azienda - Gli studi neuroscientifici come nuovi strumenti nella 'cassetta degli attrezzi' dell'HR management" (link al sito del convegno). Tra i molteplici spunti e contenuti che questa giornata ha prodotto, ce n’è uno che può essere particolarmente illuminante per chi come noi si occupa di marketing territoriale, di turismo e cultura.


Si tratta di un esperimento condotto da Intesa Sanpaolo chiamato “ArtTech”, in cui come da denominazione si uniscono arte e tecnologia. In sintesi, tramite specifiche apparecchiature sono state registrate le risposte psicofisiologiche dei visitatori di una mostra d'arte, “misurando le emozioni” di fronte a quattro opere esposte. Il ritmo del battito cardiaco, i movimenti degli occhi su determinati particolari, la sudorazione, l’attività cerebrale: tutti questi parametri sono stati utilizzati per determinare scientificamente il tipo di reazione del cervello umano di fronte a un’opera d’arte. E il risultato si può riassumere con le parole di Pietro Petrini, direttore dell’IMT di Lucca: “Il bene e il bello coincidono nel nostro cervello”.

Possibili applicazioni delle neuroscienze su turismo e cultura

Una scoperta per certi versi sconvolgente, e che proprio per questo non può essere trascurata da chi si occupa di capire e indirizzare le scelte delle persone in materia di turismo e fruizione della cultura.
Se c’è una cosa che abbiamo capito da tempo, infatti, è che quando scegliamo la destinazione di un viaggio i due fattori determinanti sono di tipo economico ed “esperienziale”. In pratica, in base al budget a disposizione orientiamo le nostre scelte su posti che racchiudono in qualche modo la bellezza. Dei paesaggi, dell’offerta museale, della cucina, dell’ambiente, del clima, delle persone: tralasciando volutamente il marginale “turismo del macabro”, quando scegliamo la meta di una vacanza lo facciamo per provare qualcosa di bello, o di buono. Che come detto prima coincidono.
Ma al di là di una consapevolezza più o meno spannometrica, ciò che manca ancora nelle politiche turistiche e culturali è un approccio che porti alla cosiddetta mindfulness degli attori territoriali e di conseguenza all’attuazione di strategie pienamente coerenti con i desideri e le esigenze dei potenziali visitatori.
Un esempio concreto può aiutare a comprendere quanto le neuroscienze siano importanti in questo ambito professionale.
Immaginiamo di poter contare su “big data” relativi alle percezione dei turisti che si recano in una località, o in un museo. Sapremmo cosa li fa arrabbiare, cosa li spaventa, e d’altro canto cosa li emoziona, cosa alla fine fa sciogliere il loro cuore a tal punto da pensare di tornare in quel posto e/o di consigliarlo a parenti e amici.

A quel punto, sapremmo benissimo dove indirizzare i nostri investimenti, il nostro lavoro, la nostra promozione. E non c’è bisogno di aver visto la serie tv cult “Westworld” per capire che enorme vantaggio in termini di risorse darebbe una piena conoscenza della percezione turistica: come accendere la luce in una stanza buia, e smettere di procedere a tentoni.

Per approfondimenti sul tema: www.hrmind.it

 
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Tullio Moretto

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