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La razza Fassona celebrata nella Casa-Museo di Carrù è buona anche per prevenire le valanghe in alta montagna

“I miei occhi videro una cosa straordinaria: una massa di carne crescere… crescere… e crescere ancora. Dapprima si sollevò sulle gambe anteriori, poi su quelle posteriori, poi su quelle anteriori e ancora su quelle posteriori per distendersi, allungarsi, respirare forte per mostrarsi in perfetto assetto. Un monumento! Una perfezione della natura, muscolatura e fattezze michelangiolesche, il fulgore e la possanza di un bronzo di Riace”

Lo scriveva nel 1982 un giornalista sul “Corriere di Carrù” descrivendo così un esemplare di razza Fassona piemontese senza nascondere una citazione alta: il “pio bove” protagonista del celebre sonetto di Carducci risalente a oltre un secolo prima richiamata dall’esclamazione del cronista e, per restare nella storia della letteratura anche da Pascoli (ma in quel caso solo nel titolo e come tema).

La citazione giornalistica troneggia all’interno della Casa Museo della razza bovina Piemontese a Carrù. Nato nel 2014 è il primo museo in Italia dedicato a una razza bovina. “S’ispira a un modello francese realizzato per la razza Charolaise – spiega Simone Savoia, molto più di una semplice guida per gli ospiti in visita alla struttura – qui si celebra la razza più importante a livello italiano”. Quella piemontese, appunto. Ma come si può scoprire passeggiando fra spazi e documenti dell’allestimento, non è stato sempre così.Una mappa dell’Italia, risalente agli anni Trenta, fotografa la diffusione sul territorio delle principali razze allevate e quella Fassona figurava come una piccola macchia nella zona di Guarene, differente dal bestiame autoctono più diffuso.

“Oggi ci sono 6 milioni di bovini in Italia e le altre 5 razze più importanti non raggiungono lo stesso numero di capi” assicura Savoia. La ragione di questa diffusione dovuta alle sue molteplici qualità anche nutrizionali e gastronomiche e favorita nel tempo dagli “addetti ai lavori” ed esperti del settore, va ricercata addirittura in una mutazione genetica del dna di questi animali. Si tratta di una caratteristica che rende questi esemplari molto muscolosi ma allo stesso tempo la loro carne risulta molto più magra delle altre. Dopo molti anni e alcune difficoltà che si possono scoprire nella Casa della Piemontese, gli allevatori hanno deciso di favorire questa razza. Il resto lo ha fatto l’evoluzione delle tecniche di agricoltura e allevamento. Le bestie sono state sostituite dalle macchine in molti e pesanti lavori, continuando però a mantenere un ruolo importante per il nutrimento della popolazione ma anche per un’altra ragione legata addirittura al turismo.

“Ancora oggi la transumanza rispetta alcune tradizioni (San Giovanni, San Michele) – rivela la nostra guida Simone Savoia – ma oltre alla concimazione dei prati, le vacche sono indispensabili per mantenere l’erba bassa, favorendo un migliore accumulo delle nevi sul terreno e quindi diminuendo il rischio di valanghe”. Gli allevatori vengono ingaggiati per tenere in ordine i pascoli che ospiteranno le piste da sci in modo da iniziare al meglio la stagione invernale: un ruolo cruciale anche per gli impianti sciistici e per il turismo.

Al termine della visita guidata – un excursus che inizia dagli etruschi, passando per la mucca di Andy Warhol fino ai giorni nostri, è possibile gustare la carne di Fassona nella versione cruda (tagliata al coltello), e cotta (fettina di scamone cotto sulla piastra) accompagnate da un bicchiere di Dogliani sotto gli occhi attenti di un imponente bue grasso.

 

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