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Una chiacchierata con Alessandro Isaia – Responsabile Comunicazione, Marketing e Web di Fondazione Torino Musei – sulla comunicazione dei sistemi museali.

Di recente con Palazzo Madama avete dato il via a un’iniziativa di crowdfunding. All’estero è un metodo molto utilizzato per raccogliere fondi – basti pensare al progetto “Tous Mecenes” del Louvre , in Italia invece siamo di fronte a un progetto pilota e Torino si presenta ancora una volta come città all’avanguardia. Ci spiega in cosa consiste e quali obiettivi vi siete prefissati di raggiungere?
Il primo obiettivo consiste nel recuperare risorse confidando nel piccolo contributo di tante persone. Spesso tali risorse sono destinate all’acquisto di opere per incrementare la collezione, o al restauro, ma non è raro l’uso del crowdfunding anche per la realizzazione di attività. Inoltre, se vogliamo, possiamo equiparare al crowdfunding le numerose attività di membership che la quasi totalità dei musei internazionali ha attivato già da diverso tempo. In generale i musei hanno individuato nel coinvolgimento della “folla” (crowd) un modo per aumentare le fonti di entrata. Tuttavia è bene sottolineare come quello economico sia soltanto uno degli obiettivi. In realtà dietro a queste operazioni, che possono essere economicamente più o meno significative a seconda della riuscita della campagna, vi è l’intenzione di coinvolgere il pubblico nella vita del museo. Nel caso di Palazzo Madama, era da tempo che pensavamo di attivare un progetto di crowdfunding e quando si è presentata l’occasione di acquistare il servizio da tè appartenuto alla famiglia Tapparelli d’Azeglio, la direttrice di Palazzo Madama, Enrica Pagella, ha pensato fosse l’occasione giusta per provare a coinvolgere le migliaia di affezionati che quotidianamente testimoniano la loro vicinanza al museo. L’obiettivo è ambizioso: dobbiamo raggiungere 80.000 euro entro il 31 marzo (data entro la quale il proprietario del servizio è disposto a venderlo al museo al prezzo base a cui sarebbe messo all’asta). Abbiamo già raccolto 25.000 euro grazie a un lascito di un generoso cittadino recentemente scomparso e circa 5.000 euro deriva dalla raccolta delle offerte attivate a Natale per l’esposizione dell’opera di Pisanello. Da quando è partito il progetto, il 31 gennaio, abbiamo raccolto 5.600 euro. Mancano ancora 44.000 euro. È difficile ma ce la faremo!

Collezioni permanenti e mostre: spesso per le istituzioni culturali si tratta di due ipotesi di investimento contrapposte. Quali sono secondo lei  le scelte vincenti?
Credo che ormai nessun museo consideri la gestione e la valorizzazione del patrimonio e le mostre come due ipotesi contrapposte. La situazione economica attuale non rende più possibile ragionare in questo modo. Le mostre servono anche a emettere più biglietti e dunque a recuperare risorse che poi possono essere re-investite nella gestione e nella tutela del patrimonio. È chiaro che ad oggi i musei devono attentamente valutare costi e benefici delle attività e dunque avere un approccio più manageriale nella gestione dell’offerta culturale. Le grandi mostre attirano molto pubblico ma costano anche molto. Si tratta pertanto di pensare a esposizioni che siano in grado di richiamare grande pubblico ma che siano sostenibili economicamente dal museo. In più significative ricadute sul territorio sono generate dall’insieme dell’offerta culturale. Recenti studi hanno dimostrato che ogni euro investito in cultura genera una ricchezza per l’economia locale pari a circa 7 euro. Basta questo per comprendere quanto la cultura sia importante anche in termini economici.


Questo periodo di generale crisi economica tocca ovviamente anche molto la cultura. Il caso dello straordinario successo della mostra di Hopper a Parigi, dovuta in gran parte a una campagna di marketing particolarmente azzeccata, ha fatto molto parlare delle strategie di comunicazione dei grandi eventi culturali. Qual è la situazione in Italia?
In Italia non si può ancora parlare di un vero e proprio marketing museale. Prova ne è, ad esempio, che sono ancora rare le figure professionali specifiche che all’interno dei musei si occupano di questi aspetti. Il panorama internazionale, in tal senso, può insegnarci molto. Una buona campagna di marketing è possibile soltanto se il museo ha ben chiari gli obiettivi che vuole raggiungere e ha metabolizzato al suo interno un approccio condiviso e finalizzato al raggiungimento degli stessi.  Fatto questo, il museo deve adeguare la propria struttura a tale approccio, ridisegnando la propria organizzazione e aggiornandola secondo le nuove esigenze.  Troppo spesso, ad esempio, nei musei italiani troviamo professionalità con formazione totalmente distanti dal marketing occuparsi anche di questi aspetti. Nella maggior parte dei musei nel resto d’Europa invece l’organizzazione è un misto tra le professionalità di tipo storico/artistico e quelle di matrice organizzativa/economica applicate alla cultura (numerosi sono in tal senso le lauree o i corsi post laurea specifici). Poste queste condizioni di base, allora è possibile operare una pianificazione strategica.

Qual è la vostra strategia?
La Fondazione Torino Musei da alcuni anni sta tentando questo approccio. Operiamo un monitoraggio costante dei visitatori attraverso sondaggi periodici, cerchiamo di pianificare con attenzione i mezzi più adatti a comunicare un determinato evento, ne studiamo l’immagine guida insieme ai direttori, coinvolgendo grafici specializzati. Negli ultimi anni poi i musei della Fondazione si sono distinti per l’utilizzo del web come strumento principale per l’informazione e la fidelizzazione del pubblico. A partire dal 2008, in cui aprimmo un profilo facebook e un canale you tube per il MAO, prima ancora che fosse aperto il museo e basando su questi strumenti parte della campagna di lancio del museo, oggi tutti i musei della Fondazione gestiscono profili su varie piattaforme social. Ultimamente abbiamo operato anche degli studi per analizzarne l’efficacia e abbiamo riscontrato un alto gradimento del pubblico per questa nuova forma partecipativa che il museo offre. C’è ancora molto da fare, ma ci stiamo attrezzando…

Dal recente sondaggio promosso dal  Mibac  è emerso come i maggiori consumatori di cultura siano le donne ( 60,07% degli intervistati, contro un 39,34% degli uomini). Una fascia di popolazione da recuperare sono invece i giovani, che purtroppo risultano ancora poco attratti dalle iniziative culturali. Tra chi ha risposto al questionario, infatti, solo lo 0,41% ha meno di 18 anni, e il 7,65% ha tra i 18 e i 30 anni. Cosa si può fare?
Effettivamente anche noi riscontriamo una prevalenza femminile: per Palazzo Madama rappresenta il 64% del pubblico, per la GAM il 53%, per il MAO il 59%. I musei della Fondazione cercano di offrire proposte differenziate a seconda dei vari pubblici che li frequentano e numerose sono le attività per i bambini e le scuole, come quelle per i giovani o gli stranieri. È questa una tendenza che si riscontra nella maggior parte dei musei nel mondo: non più una programmazione generalista ma specifica e differenziata per soddisfare la più ampia fetta di pubblico possibile.
Aggiungerei che per noi i giovani sono uno dei principali soggetti di riferimento: è chiaro che per tutti e tre i musei l’età predominante del pubblico è compresa tra i 36 e i 50 anni, tuttavia negli ultimi anni si riscontra una crescita progressiva, seppur non ancora significativa, della percentuale di pubblico giovane. Credo questo sia dovuto innanzitutto a una efficacia dei servizi educativi che offrono sempre maggiori iniziative adatte ai giovani, e sicuramente alle nuove tecnologie che ci hanno consentito di entrare in contatto con un pubblico che prima facevamo più fatica ad intercettare.

Sempre dal sondaggio del Mibac è risultato che le incentivazioni tariffarie più gradite sono le domeniche gratuite, mentre solamente il 17,38% desidera “gratuità occasionali (Settimana della Cultura, San Valentino, Festa della Donna)”. Manco a farlo apposta, la Settimana della Cultura è stata soppressa. Lei cosa ne pensa? Quest’anno ci sarebbe stata la XV edizione: dai dati delle scorse edizioni cosa risultava per le vostre realtà museali?
Personalmente il sistema che prediligo è quello di stampo anglosassone: musei gratuiti e mostre ed eventi a pagamento (in alcuni casi anche con biglietti “consistenti”...). Tuttavia mi rendo conto che tutto ciò è possibile soltanto se c’è un costante e sicuro impegno di risorse pubbliche, quantomeno nel sostegno dell’attività ordinaria dei musei. Cosa oggi improponibile in Italia. Per il resto, è vero che le gratuità occasionali possono avvicinare un po’ di pubblico in più rispetto alla media, ma non in maniera così significativa. Sinceramente credo che nella situazione attuale, in cui si richiede ai musei di provvedere sempre più con risorse proprie al mantenimento, non sia opportuno il proliferare di giornate di gratuità. Non capisco inoltre perché tutto ciò interessi soltanto i musei e i beni culturali (residenze, ecc.). Non mi risulta che il cinema, il teatro o l’opera prevedano giornate di gratuità...

La promozione dei musei passa oggi anche attraverso operazioni di co-marketing che vedono coinvolte diverse realtà turistiche. Voi ad esempio presentate accordi con compagnie aeree come Alitalia e Cathay Pacific e stazioni sciistiche come la Via Lattea. Quanto sono importanti queste sinergie?
Sono molto importanti e aggiungo anche efficaci. Innanzitutto perché ci consentono di raggiungere un pubblico che non è detto sia un frequentatore di musei; e in secondo luogo perché prevedono un medesimo impegno dei soggetti con cui si stabilisce la partnership. Si citava la Via Lattea: in 3 anni di operazione di co-marketing sono circa 12.000 le persone che hanno utilizzato il coupon che consente l’ingresso gratuito a uno dei nostri musei e che viene rilasciato al momento dell’acquisto dello ski-pass. Se consideriamo che difficilmente una persona va al museo da sola, ciò significa che a ogni gratuito in media corrisponde un intero o un ridotto. Inoltre Via Lattea investe molto in comunicazione e noi di conseguenza ne beneficiamo in termini di visibilità verso un target (turisti della montagna, sportivi, ecc.) diverso da quello nostro abituale.

Di recente il Mao, un piccolo gioiello nel panorama culturale cittadino la cui sopravvivenza  viene purtroppo costantemente tirata in ballo ogni qualvolta si parla di tagli alla cultura, è stato visitato con entusiasmo dal Presidente della Repubblica. Questa visita ha avuto una ricaduta sul numero di visitatori e sull’attenzione prestata dai media?

Innanzitutto è stato motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Il MAO è veramente un gioiello e spesso, soprattutto i turisti stranieri, lo paragonano al Quai Branly di Parigi. Come è noto in Italia siamo maestri nel darci la zappa sui piedi e credo che le chiacchiere che saltuariamente si fanno sul destino del Mao abbiamo questa matrice. Sicuramente la visita del Presidente Napolitano ha suscitato interesse nei media e nel pubblico, ma è giusto sottolineare che la mostra attualmente in corso sta riscontrando un notevole successo: sono circa 14.000 le persone che dal 23 novembre ad oggi l’hanno visitata e numerosi gli articoli usciti su quotidiani e riviste specializzate.

Uno dei problemi lamentati spesso dai tour operator è una comunicazione “last minute” dei musei circa la loro programmazione culturale temporanea, fatto che impedisce spesso di inserire queste proposte nelle offerte dei pacchetti turistici. Questa differenza di tempistica è un problema di cui siete consapevoli e che cercate in qualche modo di abbattere?
Ne siamo più che consapevoli e da anni consideriamo questo come uno dei principali problemi. Non soltanto per quel che riguarda i rapporti con i tour operator, ma anche per la ricerca degli sponsor, per l’ottimizzazione delle risorse da investire in comunicazione (si pensi, ad esempio, che vantaggi si potrebbero avere nella gestione annuale dei rapporti con le agenzie media o con i fornitori in generale) .Tuttavia tutto dipende dall’impossibilità di programmare in assenza di risorse certe che, ormai molto spesso, oltre a non essere sicure vengono erogate con  notevole ritardo. Purtroppo, come ben si sa, ciò dipende da una cronica indisponibilità di cassa da parte degli enti pubblici e i musei non possono fare altro che accettare questa situazione. Credo che il giorno che si riuscirà a consentire ai musei di programmare con certezza le mostre/attività su un periodo non inferiore ai 2/3 anni, come succede nella maggior parte dei musei del mondo, vi sarà una svolta radicale nel percorso di valorizzazione culturale del nostro patrimonio e importanti vantaggi in termini di incremento del turismo.

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