La rivista scientifica "Nature" pubblica uno studio dedicato alle aree marine e terrestri protette. Basterebbe il 2,5% della spesa militare globale per amministrarle, e sarebbe un investimento anche economico
Le stime sugli investimenti necessari per proteggere e ampliare le aree marine e terrestri protette in tutto il mondo variano tra i 45 e i 76 miliardi di dollari, ma anche dando per buono la stima più bassa si tratterebbe di un "investimento sicuro", per il pianeta ma anche per l'economia, che equivarrebbe appena al 2,5% della spesa militare globale.
È questa la conclusione di uno studio sulla biodiversità e sulle aree protette pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica britannica "Nature". Gli autori dello studio sono James E. M. Watson, Nigel Dudley, Daniel B. Segan e Marc Hockings dello IUCN, l'Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) e della Wildlife conservation society, in vista del World Parks Congress 2014 che si terrà a Sydney dal 12 al 19 novembre.
Con un quarantesimo delle spese militari, dunque, si riuscirebbe ad amministrare adeguatamente le oltre 150.000 aree protette, tutelando la natura ma anche il sostentamento delle comunità locali, oltre a spingere le economie nazionali attraverso il turismo. E anche ad aumentare la presenza di aree protette nel mondo, che al momento coprono il 12,5% delle terre emerse e il 3% degli oceani.
La Convenzione sulla diversità biologica ha infatti fissato come obiettivo per il 2020 il raggiungimento del 17% dei territori e del 10% dei mari. Per rispettare il target, spiegano gli esperti, i governi dovrebbero mantenere gli impegni economici presi a livello internazionale. Al contrario della tendenza riscontrata nella fase attuale, in cui le aree protette vengono tagliate.
"Un cambiamento radicale nel modo in cui valutiamo, sosteniamo e gestiamo le aree protette non è né impossibile né irrealistico, e rappresenterebbe solo una frazione di quello che il mondo spende ogni anno per la difesa", evidenzia James Watson della Wildlife Conservation Society. La chiave, spiega la direttrice generale dello Iucn Julia Marton-Lefèvre, è che "le nazioni riconoscano il ritorno d'investimento (ROI) offerto dalle aree protette e si rendano conto che quei luoghi sono fondamentali per il futuro della vita sulla Terra".
Così come per le economie nazionali. "In alcuni Paesi in via di sviluppo", riporta lo studio, "l'indotto economico associato alle aree protette ha una portata nazionale. In Ruanda, ad esempio, il fatturato turistico connesso alle visite ai gorilla di montagna nel Parco nazionale dei vulcani è al momento la più grande fonte di valuta estera nel Paese con circa 200 milioni di dollari annui". C'è poi il caso dell'Australia: nel 2012-2013, il budget per il Parco della Grande barriera corallina è stato di 50 milioni di dollari australiani, con un ritorno economico del Parco da 5,2 miliardi di dollari all'anno.
Investire per ampliare e tutelare le aree protette aiuta quindi non "solo" la biodiversità e l'ambiente del nostro pianeta, ma con un'adeguata gestione e amministrazione è un fattore di rilevante crescita economica per le comunità locali.
Lo studio completo è pubblicato al seguente indirizzo: http://www.nature.com/nature/journal/v515/n7525/full/nature13947.html
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