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La sentenza sui direttori stranieri ripropone il solito scontro tra conservatorismo e fruizione

“Ci risiamo” ha detto il ministro Dario Franceschini, a proposito del nuovo stop del Consiglio di Stato ai direttori stranieri per i musei statali italiani. Ci risiamo, diciamo anche noi, con una storia che è ben più vecchia dell'accoglimento del ricorso contro questa parte di riforma delle soprintendenze del MiBACT. Una storia che è vecchia di decenni, se non forse di secoli.

Passato contro futuro, conservazione e conservatorismo contro fruizione e cultura come una cosa viva e un settore economico: gli schieramenti grossomodo sono questi da sempre. Il tema, il vero nodo della questione è tra tutela o valorizzazione dei beni culturali. Cioè tra una conservazione museale fine solo alla conservazione stessa e una valorizzazione in cui l'aspetto economico non va a scapito della tutela ma anzi la favorisce innestando un circolo virtuoso.

Se in un processo tale si trovano competenze dall'estero, ciò non vuol dire che in Italia non ci siano o peggio non ce ne saranno, ma che sono state premiate le migliori a prescindere dai confini, proprio come i fruitori di beni culturali e i turisti in genere viaggiano abitualmente tra un Paese e l'altro.
Per questo ben vengano coloro che si dimostrano disposti a migliorare un modello per definizione sempre perfettibile, ma al contempo non possiamo che essere d'accordo con Franceschini quando ricorda che certi ritardi nelle riforme, certe difficoltà di approccio al mercato non fanno bene alla crescita dell'Italia. E i numeri dei musei di questi ultimi anni parlano chiarissimo, in tal senso.

 

 

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