fbpx

I luoghi della cultura italiana come le nostre aziende: di ridotte dimensioni, poco comunicative e un po' riluttanti quando è ora di fare rete (non nel senso del gol, ma di unire le forze con altre realtà), ma anche capaci di offrire grandi eccellenze apprezzate in tutto il mondo.

 

A tracciare questo interessante paragone tra PMI e quelli che potremmo definire PMM (piccoli e medi musei) è Stefano Rizzato, che su La Stampa di oggi ha pubblicato un'interessante analisi della prima indagine completa sul settore, compilata dall'Istat in collaborazione con il Ministero dei beni culturali e riferita alle strutture sia pubbliche che private.

Il censimento ha registrato in totale 4588 strutture presenti sul territorio italiano, una ogni tre comuni italiani e 13 mila abitanti, una e mezza ogni cento chilometri quadrati: 501 monumenti e complessi monumentali, 240 aree o parchi archeologici, e poi 3847 tra musei, gallerie o collezioni. Un patrimonio vastissimo, che nel 2011 ha visto 103 milioni di biglietti venduti, ma nel quale emergono differenze di valore su cui è opportuno riflettere.
Ad esempio, per quanto riguarda la loro capacità di attirare visitatori. Il 51% del pubblico, infatti, si concentra in tre sole regioni: Toscana (22,1%), Lazio (20,1%) e Lombardia (8,8%), il che vuol dire che nelle altre 17 regioni si concentra meno della metà dei visitatori. Il 30% dei biglietti, del resto, è venduto nello 0,3% delle strutture più importanti, dal Colosseo a Pompei passando per gli Uffizi e pochi altri. Mentre i dati sui musei abruzzesi e molisani riferiscono di meno di 4500 ospiti l'anno.
C'è poi il grosso problema della scarsa capacità di comunicazione. Il 43% dei musei non collabora con altre istituzioni culturali del territorio, solo la metà ha un sito internet, e solo il 42,5% dei lavoratori delle strutture è in grado di parlare inglese (per non parlare del 23,2% che sa il francese, del 9,7% che sa il tedesco, del 7% che conosce lo spagnolo e dello zero virgola qualcosa per cento di chi sa l'arabo o il cinese). Ma per fortuna, conclude l'analisi su La Stampa, i turisti internazionali non si fanno scoraggiare, e rappresentano il 45% del totale di chi visita il nostro patrimonio artistico e culturale.

 

 

A guardarli da vicino, somigliano tanto a tante nostre aziende. Quasi sempre di piccola o media grandezza, poco propensi a comunicare, spesso incapaci di fare rete e aprirsi davvero all'estero. Eppure pieni di qualità e in grado di generare eccellenze famose e apprezzate in tutto il mondo.A guardare da vicino musei, aree archeologiche e monumenti d'Italia – statali e non – è la prima indagine completa sul settore, compilata dall'Istat in collaborazione con il Ministero dei beni culturali. Un censimento che ha contato ben 4.588 strutture: una ogni tre comuni italiani e 13 mila abitanti, una e mezza ogni cento chilometri quadrati.La costellazione non potrebbe essere più varia e diversificata. Soprattutto per capacità di attrarre visitatori. Oltre metà del pubblico, infatti, finisce per concentrarsi in tre regioni: Toscana (22,1%), Lazio (20,1%) e Lombardia (8,8%). A staccare il 30 per cento dei biglietti totali è lo 0,3% di musei e simili, la quota che riunisce le prime 15 strutture di una classifica parecchio allungata. Sono i colossi della cultura italiana, una lista che include Colosseo e Uffizi, Palazzo Ducale e scavi di Pompei, insieme ai pochi altri centri capaci di generare ciascuno circa un milione di ingressi l'anno.

 

 

(Continua a leggere l'analisi de La Stampa)

 

LEGGI ANCHE: Alessandro Bollo - La nostra ricchezza è la nostra fragilità?

Cultura, formazione, crescita, giovani: l'inchiesta di Repubblica sull'arte sprecata in Italia

 

Questo sito utilizza cookie tecnici che ci consentono di migliorare il servizio per l'utenza. Per ulteriori informazioni leggi la nostra Cookie e Privacy Policy. Leggi di più